La festa.

Fiori e canti al ghetto di Roma 

Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp

L’orologio non segna ancora le dieci del mattino quando in via Elio Toaff, nel quartiere ebraico di Roma, viene rimosso lo striscione con i volti degli ostaggi. Si tratta dello stesso momento in cui le ultime persone rapite da Hamas il 7 ottobre di due anni fa, in Israele, vengono rilasciate. La notizia rimbalza in tutto il mondo, in tempo reale, senza differita.

«Sono tornati finalmente a casa», ripetono alcuni ragazzi in questo giorno di «doppi festeggiamenti»: uno religioso, per il settimo giorno della festività ebraica di Sukkot, un altro per la liberazione dei rapiti. Dopo «due anni di dolore, paura e attesa infinita, tutti gli ostaggi trattenuti da Hamas sono finalmente tornati a casa. Le loro famiglie che hanno vissuto tra ansia e speranza, sospese tra il timore di perdere i loro cari e il coraggio di non arrendersi, possono ora riabbracciare chi mancava loro da troppo tempo», sottolinea il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Luca Spizzichino, per cui adesso «si chiude un capitolo doloroso e inizia un percorso di ricostruzione e di speranza».

Gli adesivi con i volti delle vittime del 7 ottobre ancora affissi alle pareti esterne della scuola nel quartiere ebraico romano sembrano essere un invito a non dimenticare quanto accaduto a chiunque passi lì davanti, anche mentre intorno le persone sono in festa. Turisti, famiglie, scolaresche, continuano infatti a fermarsi davanti a quelle immagini, dove un mazzetto di fiori, qualche ora prima, è stato posato vicino alla foto di una ragazza rapita e uccisa da Hamas.

Ieri però, tra le vie del portico d'Ottavia si pregava e si cantava mentre il vento agita una bandiera israeliana con il nastro giallo, simbolo internazionale della campagna per la liberazione degli ostaggi, appesa a una finestra. Da qualche appartamento spunta anche una bandiera degli Stati Uniti. Qualcuno parla di «stima» nei confronti del presidente degli Usa, Donald Trump.

Seduto a un tavolino di un ristorante nel quartiere ebraico, Amit pensa che la liberazione degli ostaggi sia un «traguardo per il mondo intero» e si dice abbastanza ottimista per quanto riguarda l'accordo di pace. Lo è meno, invece, per la situazione nel resto del mondo dove sostiene ci sia «un antisemitismo mai visto in quasi cinquant'anni». Se, infatti, in molti parlano di una giornata «bellissima, di festa e di gioia», altrettanti ricordano che rimane la paura.

RIPRODUZIONE RISERVATA

Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati

Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.

Accedi agli articoli premium

Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi

Sei già abbonato?
Sottoscrivi
Sottoscrivi

COMMENTI