Genova.

«Ergastolo a Cecere, uccise Nada» 

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Genova. L’omicidio di Nada Cella, la giovane segretaria massacrata a Chiavari il 6 maggio 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco, fu «un delitto di impeto commesso con lucida follia da chi voleva sfogare la frustrazione di una vita». Un delitto per il quale Anna Lucia Cecere va condannata all’ergastolo, senza attenuanti e anzi con le aggravanti della crudeltà e dei futili motivi. La pm Gabriella Dotto ha chiesto poi quattro anni per il commercialista, che secondo lei sempre saputo come andarono le cose quel giorno. È la pena massima prevista per il favoreggiamento, «visto che con le sue bugie è stato il principale responsabile dell’impunità di Cecere per tutto questo tempo». Le richieste arrivano dopo due giorni di requisitoria davanti ai giudici della Corte d’assise (presidente Massimo Cusatti). La sentenza è prevista per il 18 dicembre.

La pm ha ripercorso quanto successo 29 anni fa, mettendo insieme i «numerosi, logici e chiari indizi» a carico di Cecere, descritta come una donna «incapace di contenere la rabbia, di indole instabile, reattiva alle provocazioni». Secondo l’accusa uccise Nada «perché invidiosa, perché voleva accasarsi e solo perché quel giorno la segretaria le aveva detto di andare via dallo studio come le aveva detto di fare la madre del suo datore di lavoro». Un impeto «scatenato da un senso di frustrazione, una gelosia che sta a indicare il sentimento di frustrazione di chi vede vantaggi per gli altri e non per sé». Ed è colpevole «oltre ogni ragionevole dubbio, visto che all’epoca erano state battute con scrupolo tutte le piste alternative che non hanno portato da nessuna parte». Ma perché Soracco avrebbe taciuto per tutto questo tempo? Perché «ha avuto paura di quella donna, quel giorno ne ha constatato la pericolosità. E avuto la consapevolezza che se l’avesse accusata lei lo avrebbe accusato a sua volta. Inoltre, è consapevole di essere portatore di un movente»". Cecere era stata già indagata ma la sua posizione fu archiviata dopo cinque giorni, nonostante i carabinieri avessero trovato in casa bottoni uguali a quello trovati sotto il corpo di Cella. Nel 2021 la criminologa Antonella Delfino Pesce aveva ripreso in mano le cartee aveva fatto ripartire le indagini.

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