La missione.

Dazi, l’emissario Ue vola a Washington per scongiurare la stretta 

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Washington. Parigi e Berlino riallineano la mira, Bruxelles punta sul dialogo senza filtri. Niente più telefonate a distanza: per tentare la trattativa decisiva sui dazi, il capo negoziatore europeo Maros Sefcovic è volato a Washington, pronto a sedersi al tavolo con il tandem americano Lutnick-Greer insieme alla squadra di emissari Ue sbarcata con un giorno d'anticipo.

Quasi in simultanea, da Pittsburgh, Donald Trump è tornato a paventare nuove tariffe sui farmaci dal primo agosto, seguite da una stangata sui microchip. Ma questo non scalfisce la linea di Bruxelles, decisa a disinnescare l'escalation con aperture mirate senza, tuttavia, restare disarmata. L’asse franco-tedesco è tornato ad avvertire in modo univoco - tramite i rispettivi ministri delle Finanze - che, se la diplomazia dovesse naufragare, la Casa Bianca dovrà aspettarsi «contromisure decisive». A partire dal primo pacchetto di contro-dazi già in rampa di lancio il 6 agosto.

Anche se le divergenze sulla portata della rappresaglia restano forti: alla prudenza tedesca si contrappone la pressione dell'Eliseo che - oltre ai due pacchetti di contro-dazi Ue per più di 90 miliardi - invoca anche un affondo sulle Big Tech e l'attivazione del bazooka anti-coercizione per congelare gli investimenti Usa nel continente.

Il caso Powell

Nel frattempo Donald Trump si preparerebbe a silurare Jerome Powell, il tanto odiato presidente della Fed che, a suo avviso, sta costando agli Stati Uniti centinaia di miliardi di dollari. L'indiscrezione, rimbalzata sui media americani, è stata smentita pubblicamente dal presidente. Ma la clamorosa svolta alla banca centrale sembra imminente. «Non escludo nulla ma è molto improbabile», ha risposto il presidente a chi gli chiedeva della sua intenzione di porre fine all'era Powell. Poi però ha subito precisato: «A meno che non lasci per frode. Credo sia già sotto indagine».

Il riferimento è ai controversi lavori di ristrutturazione della sede della Fed a Washington, costati 2,5 miliardi di dollari. Una minaccia dunque, neanche troppo velata, con cui Trump cavalca l'accusa che potrebbe diventare la motivazione per rimuovere il presidente della banca centrale per giusta causa. «Powell vuole un palazzo stile Versailles», ripete da giorni la Casa Bianca, aumentando la pressione sul numero uno della Fed, nominato da Trump durante il suo primo mandato e divenuto il suo peggior nemico.

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