Un ordigno rudimentale con un chilo di esplosivo, lasciato tra due vasi con la miccia accesa a pochi metri dall’abitazione. Una deflagrazione potente che ha semidistrutto le due auto del giornalista d’inchiesta Sigfrido Ranucci, conduttore della trasmissione della Rai “Report” e già da tempo sotto scorta. Teatro dell’attentato, che solo per un caso fortuito non ha provocato vittime, la villetta a Pomezia, cittadina alle porte di Roma, dove vive con la famiglia. Un atto intimidatorio potenzialmente letale che ha preso di mira uno dei giornalisti simbolo dell’informazione del servizio pubblico, autore di inchieste scomode su illeciti e corruzione nella pubblica amministrazione, sulla criminalità organizzata, sulle frange estreme della galassia ultras, sulle infiltrazioni dei clan negli appalti.
Protezione rafforzata
Nei confronti del giornalista è arrivata la solidarietà, unanime, di tutto il mondo politico, a partire dalle massime cariche dello Stato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso una «severa condanna» su quanto avvenuto alle 22.17 di giovedì, mentre la premier Giorgia Meloni ha sottolineato come «la libertà e l’indipendenza dell’informazione sono valori irrinunciabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere». Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, assicurando l’impegno delle forze di polizia a individuare «rapidamente gli autori di un gesto vigliacco», ha subito disposto il rafforzamento ai massimi livelli di ogni misura di protezione. E già in giornata al cronista è stata assegnata un’auto blindata.
Ventaglio di ipotesi
Delle indagini si occupano i pm della Direzione distrettuale antimafia o ora il primo obiettivo di chi indaga è quello di accertare la matrice dell’attentato, risalire agli autori materiali e agli eventuali mandati. Il fascicolo al momento è stato aperto per danneggiamento aggravato e violazione della legge sulle armi, ed è sul tavolo del pm Carlo Villani e dell’aggiunto Ilaria Calò, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi. Proprio quest’ultimo ha assicurato il massimo impegno dell’ufficio, augurandosi che, «non si torni ai tempi bui degli attacchi ai rappresentanti della stampa». Le verifiche sono affidate ai carabinieri che per tutta la notte e nelle prime ore della mattina hanno raccolto il racconto di Ranucci. Il giornalista ha fornito una serie di elementi anche ai magistrati di piazzale Clodio, che lo hanno ascoltato per due ore nel pomeriggio. «Abbiamo delineato con i magistrati un contesto», ha detto lasciando gli uffici giudiziari. «Ci sono quattro-cinque tracce importanti che però per coincidenza alla fine riconducono sempre agli stessi ambiti. Sono cose molto complesse da provare». Tra le piste, oltre a quella della malavita organizzata, anche quella che riconduce agli ultras.
I residui dell’ordigno
Secondo le primissime evidenze investigative, l’ordigno era composto da circa un chilogrammo di materiale esplosivo pressato. La bomba non aveva timer o congegni di attivazione a distanza: l’autore, o gli autori, dunque, l’hanno lasciata all'esterno dell'abitazione pochi minuti prima della deflagrazione, avvenuta circa 20 minuti dopo il rientro a casa in auto della figlia del cronista. Probabile che chi ha compiuto l’attentato conoscesse gli spostamenti e i tragitti di Ranucci. Fondamentale sarà l’analisi dei residui dell’ordigno. E gli inquirenti sperano di ottenere risposte anche dall’analisi delle telecamere della zona.
Il testimone
Un testimone, ascoltato dagli inquirenti, afferma di avere visto un uomo incappucciato a poca distanza dalla villetta. «Chi è stato? È impossibile dirlo ora», dice Ranucci. Di certo, «c’è un preoccupante salto di qualità rispetto ai proiettili lasciati all’esterno della villetta nel 2024». Attestati di vicinanza al giornalista sono arrivati, tra gli altri, dal Guardasigilli Carlo Nordio che parla di «attentato allo Stato», dal ministro della Difesa Guido Crosetto, dalla segretaria del Pd Elly Schlein, dal leader M5S Giuseppe Conte, che ha lanciato l’appello alla mobilitazione: una manifestazione martedì a Roma «per rivendicare il pluralismo e per tutelare il giornalismo investigativo». La governatrice della Sardegna Alessandra Todde: «Teniamo alta la vigilanza democratica».
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