C hissà quale misteriosa sindrome si nasconde dietro il gigantesco interesse verso il verdetto delle elezioni americane che ha trasformato i nostri organi di stampa da osservatori a supporter di uno o dell'altro candidato. Un interesse contagioso per lettori e ascoltatori che non nasce certo col duello Biden Vs Trump ma affonda le radici negli anni '60, ai tempi dell'italico scontro elettorale fra la Dc e il Pci, quando i nostri presidenti del Consiglio restavano in carica pochi mesi e la loro elezione era affare interno ai partiti e cominciò a delinearsi il tifo per i repubblicani considerati di destra e i democratici considerati di centrosinistra. Si sa che non è esattamente così ma questo gioco delle parti è via via diventato più solido tanto che oggi resta solo questa chiave di lettura, esasperata da maratone tv e dai giornali schierati col candidato preferito. Anche se per noi sarebbe cambiato ben poco se a diventare presidente fosse stato Biden o fosse rimasto Trump, checché ne dicano i grandi politologi. Fondamentalmente per due, speculari, ragioni: perché gli Stati Uniti non si possono alienare l'amicizia dell'Italia e per l'esatto reciproco contrario. Perché, non potendoci permettere di non essere vassalli del più importante leader mondiale, chiunque egli sia o rappresenti, esercitiamo l'arte nella quale non siamo secondi a nessuno, quella di farci spazio velocemente sul carro del vincitore.

BEPI ANZIANI
© Riproduzione riservata