Nella notte tra il primo e il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini viene trovato morto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. A trovarlo è una donna: sono le 6.30 del mattino.

Lo scrittore, regista e drammaturgo è stato ucciso in modo violento (il riconoscimento del corpo viene fatto dall’amico di Pasolini, Ninetto Davoli).

Dell’omicidio viene incolpato Pino Pelosi di Guidonia, 17 anni, noto alle forze dell’ordine per essere un ladro d’auto e “ragazzo di vita”. Viene fermato la notte stessa alla guida dell’auto di Pasolini.

Il ragazzo racconterà di essere stato fermato dallo scrittore nelle vicinanze della Stazione Termini, a Roma, e invitato sulla sua auto dietro il pagamento di denaro.

Dopo la cena in una trattoria – secondo quanto raccontato da Pelosi – i due si appartano in periferia e la tragedia avviene (secondo quanto decretato dalla sentenza) per una lite su pretese sessuali avanzate da Pasolini alle quali Pelosi era riluttante.

Colpito con un bastone, Pasolini è ancora vivo quando il ragazzo lo travolge più volte con l’auto e poi scappa. Lo scrittore muore.

In seguito Pelosi viene condannato per omicidio volontario.

Si è spesso parlato di un mistero che ha avvolto la morte di Pasolini, tante le ipotesi: una rapina degenerata, un omicidio premeditato, ancora, il concorso di almeno altre due persone nel delitto. Anche Oriana Fallaci scrive un pezzo in cui sostiene quest'ultima tesi.

Il colpo di scena nel 2005, dopo trent’anni, Pelosi – in un’intervista televisiva – afferma di non essere lui l’esecutore materiale del delitto e dichiara che è invece stato commesso da altre tre persone arrivate a bordo di un’auto (targata Catania) e che parlavano un accento calabrese o siciliano e "avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli 'jarrusu', omosessuale in dialetto".

A fronte di tutti questi retroscena, Walter Veltroni nel 2010 chiede al ministro Alfano la riapertura del caso per fare chiarezza sulla vicenda.

(Unioneonline/s.a.)

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