Il 20 maggio del 1996 viene arrestato ad Agrigento, in contrada Cannatello, Giovanni Brusca.

Il mafioso, soprannominato in siciliano "u verru" (il porco) e anche lo "scannacristiani" per la sua ferocia, era da tempo ricercato e quando quel giorno, in via Papillon, scatta il blitz sta guardando il film sulla strage di Capaci, proprio una delle vicende per le quali è stato condannato (un centinaio però sono gli omicidi che gli vengono attribuiti, compreso quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito, prima strangolato e poi sciolto nell’acido).

Brusca era entrato nella cosca di cui faceva parte già il padre, il boss Bernardo, da giovanissimo. La sua carriera criminale è stata caratterizzata da una scalata molto rapida.

Ma qualcuno probabilmente lo ha tradito. La sua utenza telefonica era intercettata e per identificare esattamente la villa in cui si trovava, i poliziotti hanno utilizzato un particolare stratagemma. Un agente in borghese, a bordo di una moto, passava davanti ai cancelli di tre abitazioni dando delle forti accelerate in modo che il rumore del motore potesse sentirsi nell’audio di fondo delle registrazioni. Così è stato individuato il punto in cui Brusca viveva.

Più volte ha chiesto i domiciliari, soprattutto dopo il suo pentimento, ma gli sono sempre stati negati per la gravità delle sue condotte. Si trova al carcere romano di Rebibbia.

(Unioneonline/s.s.)

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