Tra poche settimane, il 23 febbraio, si celebreranno i 230 anni dai fatti d’arme che videro (nel 1793) i maddalenini, i militari del Re di Sardegna e le milizie galluresi respingere vittoriosamente il tentativo d’occupazione Franco-Corso dell’Arcipelago; operazione militare che ebbe, tra gli artefici, il giovane Napoleone Bonaparte, il quale, appena 11 anni dopo, sarebbe diventato Imperatore dei Francesi.

Per la Francia rivoluzionaria si trattava di conquistare una testa di ponte per invadere poi il resto della Sardegna; per i corsi presenti nella spedizione si trattava invece di riconquistare quelle isole che consideravano loro (con terreni, raccolti e bestiame), quantomeno fino a quando, nell’ottobre del 1767 (26 anni prima), non furono occupate dalle truppe e dalla marina del Re di Sardegna.

Le isole maddalenine erano allora, e da un po’ di tempo, abitate da corsi nati in Corsica e dai loro figli i quali, tuttavia, al momento dell’occupazione sardo-piemontese non opposero alcuna resistenza. Ci fu un errore di valutazione da parte dei franco-corsi; ritenevano infatti che sarebbero stati accolti, da questa popolazione, come liberatori, un ricongiungimento alla Corsica dalla quale provenivano e dalla quale erano stati strappati, così almeno ritenevano i franco-corsi, dalle truppe del Re di Sardegna. Non fu invece così; quei corsi imbracciarono le armi e combatterono, sicuro che combatterono, a fianco dei militari e delle milizie galluresi. E a farlo non fu soltanto Domenico Millelire… che in Corsica era nato.

In effetti le autorità sardo-piemontesi dubitarono molto della fedeltà di quella popolazione, corsa e di origine corsa ma la scelta di campo di questi corso-maddalenini maturò in maniera convincente per i comandanti militari alla fine del novembre 1792, quando, attraverso il sindaco Gio Batta Zicavo (corso anche lui) e altri membri del Consiglio Comunitativo, chiesero che, in vista dell’imminente attacco, i loro familiari venissero fatti sfollare in Gallura. Il comandante della piazza, Riccio, accolta con sollievo tale richiesta che garantiva senza ombra di dubbio la volontà di resistenza all’invasore e metteva al riparo da possibili tradimenti (quei familiari potevano trasformarsi infatti in ostaggi), fece trasferire in Gallura donne, bambini, vecchi ed ammalati, affidandoli all'organizzazione messa su dal canonico Spano Azara, per conto della Diocesi, che sistemò un centinaio di sfollati a Tempio (tra i quali la stessa moglie del comandante Riccio) ed una cinquantina nelle campagne di Luogosanto. I corso-maddalenini abili alle armi furono inquadrati in milizie divise in compagnie.

Antichi racconti ricordano l’iniziativa del sacerdote Luca De Muro il quale, con i soldi affidatigli dal corso-maddalenini, avrebbe trattato, con i contrabbandieri di Aggius, l’acquisto delle armi indispensabili per la difesa. La necessità di galvanizzare la popolazione attorno ad un simbolo significativo portò il comandante Riccio a chiedere che venisse dipinto uno stendardo da combattimento. L’allestimento del drappo si svolse in tutta fretta, probabilmente nella stessa chiesa parrocchiale. In esso venne raffigurata Santa Maria Maddalena, patrona dell’Arcipelago, ai piedi del Crocifisso, in atto di protezione sull’Isola. Ai lati una scritta recitava: “Per Dio e per il re, vincere o morire”. Su quello stendardo, fortemente rappresentativo della risolutezza che i difensori intendevano opporre all’invasore, si racconta che ci fu un solenne giuramento dei capifamiglia combattenti, verosimilmente al cospetto del parroco Giacomo Mossa. Il vessillo sventolò sul forte Sant’Andrea, strategicamente eretto alle spalle dell’abitato, per tutta la durata dell’assalto franco-corso.

Ma che cosa portò i corso-maddalenini a questa scelta di campo? Erano circa 800 costoro, neanche pochissimi, in gran parte nati in Corsica o figli di genitori corsi. Ed erano rimasti comunque legati a quella terra vicina, al di là delle Bocche di Bonifacio, nella quale abitavano ancora nonni, zii, cugini e anche fratelli e sorelle, o dalla quale provenivano le loro mogli. Di quella terra parlavano la lingua e ne conservavano le tradizioni. Con l’occupazione militare sardo-piemontese e con il passaggio alle condizioni di sudditi sabaudi, costoro avevano goduto di una sorta di affrancamento, svincolandosi socialmente ed economicamente dal sistema feudale corso e dai proprietari corsi. L'essere sudditi del Re di Sardegna, oltre a proteggerli dal rischio, sempre presente, delle incursioni barbaresche, offriva loro alternative di lavoro legate alla presenza stessa di truppe e del piccolo naviglio (fornitura di carni, pesce, prodotti agricoli, ecc.), alla costruzione di fortificazioni militari, al piccolo cabotaggio legale e non, o all’arruolamento stesso sui Reali Legni. Indubbiamente dovettero essere forti e contrastanti i sentimenti all’interno della piccola comunità corso-maddalenina, e più di una volta, in molti, sarà stato struggente il richiamo del sangue ma la scelta, in quel freddo inverno tra il 1792 ed il 1793, sebbene sofferta, fu fatta, e fu decisiva e definitiva.

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