“Mia madre lo diceva sempre: ‘Siamo una famiglia felice!’ e non perdeva occasione per ripeterlo”.

È così che Nicola, bambino di dieci anni, introduce il suo dramma famigliare. Non è figlio unico, ha una sorella adolescente, Mara. Lui è stato il tanto atteso figlio maschio, voluto dal padre. Un padre che, inizialmente, reputa quasi come un supereroe: forte, dignitoso, sempre impettito; mentre la madre appare quasi un’ombra alle spalle del marito, col suo solito foulard annodato sotto la gola e quei grandi occhiali da sole, che è solita indossare anche in casa: “Mamma non era solo delicata, era anche distratta […] Bastava toccarla perché le uscissero i lividi e così portava le maniche lunghe anche d’estate, per coprirli”.

Il padre di Nicola gli fa credere che la mamma è solo sbadata, ecco perché porta sempre tutti quei lividi sul corpo ed è per questo che lui le ha impedito di andare a lavorare, perché era troppo fragile e depressa, ma soprattutto perché l’uomo di casa era lui e quindi gli spettava il compito di provvedere alla famiglia. Per questo, dà a Nicola delle responsabilità: controllare la madre e la sorella, vedere ciò che fanno o con chi parlano e fargli sempre un resoconto dettagliato. Nicola è lusingato del suo ruolo, motivo per cui non si accorge subito di ciò che accade realmente in famiglia: “[…] quando tornai da scuola, mamma aveva gli occhiali scuri da diva di Hollywood. ‘Che hai fatto stavolta?’ le domandai. ‘Ho ribattuto l’occhio nello sportello della dispensa’, disse stancamente”.

Mara non è come lui. Lei non difende il padre e mal sopporta che il fratellino la debba accompagnare ovunque, anche a casa delle amiche. Nicola si convince che quello è il ruolo di un uomo e alle proteste della sorella, recrimina la sua funzione protettiva.

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Per Nicola tutto procedeva normalmente, fino al giorno in cui suo padre parte per lavoro e la madre accoglie, all’insaputa del marito, una barbona, di cui comincia a prendersi cura. Al bambino verrà chiesto di mantenere il segreto e sarà Mara a chiederglielo: “Se papà viene a saperlo, questa volta l’ammazza di botte, lo capisci?”.

Quella frase gli mostrerà la realtà dei fatti: “Improvvisamente, nella mia testa, stavano andando al loro posto le tessere di un enorme puzzle, tanti piccoli episodi, incidenti, parole sospese, velate minacce. Ma il disegno che vi compariva era terribile, troppo per me”.

E da quel giorno, qualcosa comincia a cambiare in lui. Durante le lezioni, si distrae, non gli importa più dei voti o della scuola. Inizia a sentire la rabbia crescere, affronta il padre e gli domanda se è vero che picchia la mamma, ma lui gli dice che lo fa per amore: “[…] a mamma posso aver urlato qualche volta, o stretto troppo forte un braccio, posso averla colpita con uno schiaffo, ma l’ho fatto sempre per migliorarla, per il suo bene”.

Nicola entra in conflitto, si sente confuso, perché le parole del padre rivendicano un amore, che giustifica il possesso, la gelosia e il controllo; mentre la madre, esausta e sopraffatta, manifesta la volontà di uscire da quella relazione, perché stanca di avere paura: “[…] non era felice, forse non lo era mai stata, forse non si erano mai capiti. Compresi che era per questo che continuava a ripetere che eravamo una famiglia felice, per crederci anche lei, nonostante tutto”.

“Nemmeno con un fiore” è un libro di Fabrizio Silei, edito da Giunti.

Questo romanzo dà voce alla violenza assistita, che molti bambini subiscono all’interno delle mura domestiche. Tali dinamiche possono innescare sentimenti di rabbia, tristezza e paura. E ciò può avere delle ricadute anche nel rendimento scolastico o sul piano comportamentale, in quanto il bambino può riproporre gli stessi atteggiamenti del padre e divenire aggressivo a sua volta. È un libro che ci permette di comprendere la sofferenza che si cela dietro la violenza domestica e allo stesso tempo invita il lettore a opporsi allo stereotipo di genere, e a maturare un concetto di amore sano che, come il piccolo protagonista impara, non potrà mai essere associato alla violenza.

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