Più che uno studiolo da pensionato, quello di Gaetano Ranieri, è un vero e proprio data bank da servizi segreti. Decine di memorie artificiali per incamerare anni e anni di ricerche, studi ed esperimenti. Le finestre sono rivolte sul Golfo di Cagliari, le carte che lo circondano, però, sotto tutte protese sulla terra del Sinis. Innamorato e appassionato, sognatore e scienziato, irruento e nel contempo misurato. L'uomo del georadar non ama le polemiche, ma quelle sue ricerche sulla collina dei Giganti hanno da sempre scatenato divisioni e tensioni. E' restio a parlare. Lo ha fatto ieri sera davanti alle telecamere di "Top Secret – Inchieste di Sardegna". Una confessione appassionata e strategica. Meditata e sincera. Pace e tregua Vorrebbe che sui Giganti scattasse, se non la pace, almeno la tregua. E' saggio il professore che studia le pietre, il sottosuolo e le anomalie dei terreni. L'animo è ferito. Lo hanno insultato e denigrato, per quel metodo di ricerca che ha ribaltato la storia degli scavi archeologici in Sardegna. Con Momo Zucca, l'archeologo allievo prediletto del grande Giovanni Lilliu, ha avuto il coraggio di rimetter mano ad uno dei giacimenti archeologici più controversi ed esaltanti della civiltà nuragica, quello di Mont ‘e Prama. I due portabandiera delle Università di Cagliari, Ranieri, e Sassari, Zucca, quando, nel 2013, si aggiudicano il bando per un progetto di ricerca geofisica nel campo dell'archeologia, appaiono ai più come dei marziani. Le due Università alleate, però, sono una potenza di fuoco e le due discipline, geofisica e archeologia, sono la più innovativa chiave di volta nella ricerca sul campo. Lo scrigno Quando apre uno dei suoi scrigni di quelle ricerche sulla collina dei Giganti Gaetano Ranieri ancora si commuove. Ricorda l'esultanza e l'emozione di Momo Zucca quando il monitor del georadar mostrava in diretta una sequenza di pallini rossi che tracciavano i segni evidenti di un'anomalia del terreno davvero sorprendente. L'archeologo, prima di tutti, intravvede in quei tratti le sembianze di un Gigante, adagiato ad una profondità di un metro sotto la superficie terrestre. I due incrociano lo sguardo e capiscono al volo quello che sta emergendo da quelle prospezioni geofisiche sul terreno. Incontro al Gigante Passeranno poche ore dalle rivelazioni delle antenne del georadar che l'archeologo in capo, Momo Zucca, dispone l'équipe per andare incontro al Gigante. Lo scavo è minuzioso e preciso. I picchetti sistemati da Gaetano Ranieri a terra sono in asse con i rilievi di quello strumento infernale che legge il sottosuolo come se fosse un'ecografia archeologica. I giovani archeologi non scavano, accarezzano la terra. Quando intravvedono le prime sporgenze sul terreno capiscono che il connubio tra archeologia e geofisica sarà, d'ora in poi, irrinunciabile. Il segreto c'è Sono passati quasi otto anni da quella scoperta e su Mont'e Prama è calato nuovamente l'oblio di Stato. Qualche appalto, qualche elemosina, ma nessun progetto serio e strategico per valorizzare un sito archeologico in grado di ribaltare certezze e convinzioni ataviche. Convincere Gaetano Ranieri ad aprire quella montagna di gigabyte sui Giganti non è facile. Schiva ogni polemica e ama i segreti. Sino a quando confessa: «Si, un segreto c'è». Il radiologo e il chirurgo Lo racconta con un preambolo di metodo: «Secondo me ci sono delle cose di grande interesse archeologico. Non sono un archeologo, è come se fossi un radiologo. Un tecnico con esperienza, però, può guidare meglio un chirurgo, in questo caso l'archeologo». Arriva alla preconfessione: «Credo che a Mont ‘e Prama ci siano tanti elementi ancora di grande interesse. In realtà non è stato ancora scavato quasi niente rispetto a quello che siamo riusciti a vedere con il georadar. Non si è arrivati a 800 metri quadri di scavi. Noi abbiamo esaminato 15 ettari e passa». Vuota il sacco Alla fine Gaetano Ranieri vuota il sacco e lo dice esplicitamente:«Molti rilievi che abbiamo fatto rappresentano aree addirittura più ricche di quelle che abbiamo visto sino ad oggi». Lui e pochi altri hanno visto quei tracciati digitali, sanno dove quelle macchie di pallini rossi segnalano quelle che per cautela continuano a chiamare «anomalie». E quando parla di «aree addirittura più ricche» sa quel che dice. Parla con cognizione di causa. E non si ferma all'esortazione: «Si tratta di un'area che meriterebbe un'attenzione particolare. Se fossi legislatore mi preoccuperei di acquisire i terreni, di proteggerli più che altro perché c'è il rischio che questo patrimonio venga depauperato o peggio distrutto». Tracciati prenatali Quei tracciati li guarda e li riguarda, li accarezza come se fossero ecografie prenatali. Conosce quelle carte a memoria, indica i punti più evidenti dove il cumulo di reperti può essere più cospicuo di altri. Cela le coordinate e nega i punti cardinali della mappa del tesoro. In cuor suo spera che alla fine, dopo tante polemiche, qualcuno abbia la forza di andare a scoprire cosa realmente c'è là sotto. Il sogno del dialogo Dal segreto di Mont'e Prama al sogno il passo è breve: «Spero – ammette il professore che ascolta il sottosuolo - che nel Sinis si possa riprendere a dialogare e costruire un processo di ricerca utile per la Sardegna, per la cultura, per l'archeologia e la ricerca. Le Università sarde devono svolgere un ruolo imprescindibile, nel rispetto di tutti i ruoli». Georadar ovunque Se gli lanci la sfida l'accetta. Dall'Università è andato in pensione, ma la ricerca è rimasta nel suo dna. Quando gli chiedi dove vorrebbe scorrazzare in Sardegna con quell'aggeggio infernale chiamato georadar non si sottrae ad una risposta sincera e spontanea: «Lo porterei ovunque». Tecnologia e archeologia E sa anche dove trainarlo:«La Sardegna è così piena, un patrimonio disseminato ovunque. La batterei a tappeto, tutta. Una delle cose che occorrerebbe fare per conoscere realmente il patrimonio di questa terra sarebbe la creazione di almeno 4 o 5 istituti di tecnologia applicata ai Beni Culturali. Che venissero utilizzati, magari dislocati nel territorio, e che tutti potessero fruire di queste nuove tecnologie sia nel campo applicativo che come progetto di studio». Santa alleanza Il professore teme solo le polemiche. Non aiutano a trovare la strada maestra per rilanciare una grande stagione di ricerca archeologica a servizio della Sardegna. E' per questo motivo che esorta a sotterrare le asce di guerra:«Sono le convenzioni internazionali che dicono che la ricerca archeologica deve andare avanti di pari passo con la geofisica. Serve una Santa alleanza tra la tecnologia e l'archeologia, per fare di più e meglio. Archeologi e geofisici devono essere alleati, non nemici». E infine la rivoluzione: «Oggi da casa nostra possiamo "volare" sottoterra.Vedere il paesaggio archeologico e decidere come valorizzarlo. Non dobbiamo avere timore di questa rivoluzione". La rivoluzione dei Giganti.

Mauro Pili

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