Se io fossi il Sindaco di Cagliari, darei retta al mio quasi omonimo Francesco Casula, acerrimo nemico dei Savoia, e butterei giù la statua di Carlo Felice per metterci al suo posto quella di Gigi Riva in rovesciata, perché è stato l’unico “sardo” (di Leggiuno solo perché la cicogna ha sbagliato rotta) che ci ha fatto diventare primi della classe in un’Italia tutta peninsularista. E chi non è con me: «… peste lo cuolga!», come esclamò il pirrese Amedeo Nazzari nel famoso film “La cena delle beffe”.

La Carlo Felice, strada statale 131 – Scherzi a parte (ma non troppo), Carlo Felice fu davvero uno dei nostri più odiosi monarchi, del quale si parla ancora adesso solo perché a lui è intestata e solennizzata con la statua di Piazza Yenne la più importante strada dell’isola: la Cagliari-Porto Torres, indicata erroneamente come “statale 131” mentre, per la storia scientifica (e non per quella italiana di comodo) dovrebbe essere la “statale n° 1 in quanto è la prima strada dello Stato chiamato all’inizio Regno di Sardegna, poi Regno d’Italia, oggi Repubblica Italiana.

Carlo Felice e la Sardegna – Riassumere la figura di Carlo Felice, ultimo dei Savoia (i successori sono Carignano, Savoia di adozione) è difficilissimo, e non ci provo neppure. Elenco soltanto la sua politica repressiva sarda, svolta fra il 1799 e il 1806, tutta tesa ad affermare lo Stato di diritto.

Il “feroce” Carlo Felice – Appena insediato al governo prima come viceré, sentì il dovere di assicurare nell’isola l’ordine pubblico, nel rispetto dell’autorità. Perciò, usò tribunali speciali, procedure sommarie e misure di polizia. Una congiura ordita da un certo avvocato Serra di Sinnai e da un tale Pasquale Bartolo, nel settembre 1799, finì con due condanne a morte. Pene gravi furono inflitte al frate Gerolamo Podda che aveva creato nel suo convento un gruppo di giacobini filofrancesi. L’ergastolo fu comminato all’eroe Vincenzo Sulis, passato dall’entusiasmo al malcontento, accusato di alto tradimento e rinchiuso nella torre dello Sperone ad Alghero. Sedici condanne alla forca furono pronunciate nel 1800 quando a Thiesi scoppiò una rivolta provocata dall’oppressione del feudatario Antonio Manca duca dell’Asinara. Nel 1802, in Gallura, si ebbe ancora il tentativo del notaio cagliaritano Francesco Cilocco e del prete torralbese Francesco Sanna Corda per proclamare una Repubblica sarda dipendente dalla Francia. La repressione fu rapida e violenta. Il Cilocco fu preso, linciato a frustate ed impiccato, il Sanna cadde nello scontro a fuoco coi soldati regi. Nel luglio del 1802 fu giustiziato Domenico Pala, condannato in contumacia l’anno precedente.

Noi Sardi e la Monarchia – Concludendo, perché dunque magnificarlo solennemente con una sua statua in piazza Yenne a Cagliari? Forse perché noi Sardi siamo impenitenti conservatori, legati per abitudine a “su connottu”, al noto, a quello che abbiamo sempre conosciuto, foss’anche la monarchia repressiva. Si ricordi che abbiamo difeso i nostri sovrani nel corso del tempo, anche quando nel resto d’Europa si destituivano con le rivoluzioni e si ghigliottinavano, e che, arrivati ai nostri giorni, il 2 giugno 1946, al referendum popolare che ci ha dato la Repubblica, votammo per la Monarchia.

E in questo sta una delle più deprecabili colpe della nostra Storia.

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