Se uno Stato è in pericolo – Da sempre, in tutto il mondo, uno Stato con esigenze di sopravvivenza, circondato da Stati ostili, o attacca o perisce; e, per salvarsi, si accomanda ad uno più potente di lui, ad un’Autorità superiore che possa sostenerlo e difenderlo nel bisogno (come, per esempio, fa oggi Israele con gli Stati Uniti).

Barisone Re d’Arborea e Federico Barbarossa – Agli albori del Millennio passato, dal 1146 regnava sull’Arborea, al centro dell’isola, il re Barisone I della Casata dei Lacon-Serra. Era in continuo contrasto coi regnanti limitrofi di Càlari, Torres e Gallura, ed aspirava a sottometterli per non essere a sua volta sottomesso.

Per questo, si rivolse all’imperatore Federico Barbarossa di stanza con la sua Corte in Lombardia, sperando che, se l’avesse insignito del titolo di “Re di Sardegna”, avrebbe avuto il diritto d’invadere vicini i regni avversi con l’appoggio dei Ghibellini italiani, ed avrebbe elevato la Sardegna ad un solo unico Regno sovrano unitario (ovviamente, sotto il suo reggimento).

Il primo motto sardista della Storia – E, tutto preso dal suo sogno di grandezza, lanciò il primo motto sardista della Storia, facendo coniare un sigillo con questi versi leonini: est vis sardorum pariter regnum populorum (in libera traduzione; la forza dei sardi uniti sta in un unico regno formato da tutti i popoli). Emilio Lussu, nel 1921, l’avrebbe applaudito.

Barisone Re di Sardegna – Purtroppo, per ottenere il titolo imperiale, occorrevano soldi, tanti soldi, e lui non li aveva. Allora, si rivolse ai Genovesi; e qui sta l’errore, perché i Genovesi sono notoriamente taccagni. Il doge della Repubblica ligure gli prestò i 4000 marchi d’argento occorrenti per il viaggio, il vitto, l’alloggio e il titolo imperiale che effettivamente Barisone ottenne il 10 agosto 1164 con tanto di cerimonia d’incoronazione nella cattedrale di San Siro a Pavia; e per tre giorni furono fatte feste e cacce. Purtroppo, Barisone non riuscì a rifondere subito il grosso debito, e, di conseguenza, i Genovesi lo tennero in ostaggio nella loro città per sette lunghi anni, fino al 1172.

Un mesto ritorno in Patria – Al ritorno in Patria, Barisone I tentò, senza successo, di realizzare ancora con le armi l’antico sogno imperialista di unità delle genti sarde, non da tutti accettato. Forse per questo, non potendo contare né su Genova né su Pisa, in pace fra loro dal 6 novembre 1175, rinsaldò i legami con la Corona d’Aragona dando in sposa nel 1177 la figlia di primo letto, Sinispella, a Ugo-Poncio de Cervera visconte di Bas, dalla cui unione nacque, l’anno dopo, Ugone I.

Nel 1180 attaccò nuovamente il Regno di Càlari ma fu respinto.

La vecchiaia e la morte – Negli ultimi tempi si diede ad opere pie ed alla bonifica del territorio, concedendo ai Benedettini di Montecassino la chiesa di San Nicola di Gurgo o Burgo, presso Oristano, e la libertà di pesca negli stagni di Santa Giusta, di Cabras (Mar ‘e Pontis) e di Mistras nel Sinis. In cambio, nel 1182 chiese all’abate cassinese d’inviargli dodici monaci, «… tre o quattro dei quali – dice la traduzione del documento in latino medioevale – siano letterati, affinché, se fosse necessario, possano essere eletti vescovi o arcivescovi, e, inoltre, possano trattare gli affari del nostro Regno sia con la Curia romana che con la Curia imperiale»

Morì in un giorno imprecisato tra la fine del 1184 ed i primi mesi del 1185. Per risentire accenti di unità delle genti sarde si dovrà aspettare più di settecento anni, fino al Congresso a Macomèr del Partito Sardo d’Azione nel 1921.

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