Marina giunge in un piccolo quartiere del centro di Madrid, dove s’imbatte in un negozio di fiori, chiamato: “Il giardino dell’angelo”. Qui, conosce Olivia, un’eccentrica fioraia, che le propone un posto di lavoro.

Marina accetta di buon grado, sebbene non conosca nulla dei fiori o del loro significato. Dopo la morte del marito, si è ritrovata sola e spaesata: “Ormai, però, sapevo che la vita era uno spettacolo senza prove […] Si va in scena senza trucco e senza sapere la parte. E io avevo sempre avuto il terrore del palcoscenico. Forse era questo il motivo per cui non avevo preso mai molte decisioni. Per questo preferivo che le prendessi tu, mentre io ero la tua comparsa. Era molto più facile affidare a un altro il ruolo da protagonista della mia vita. Per non attirare troppo l’attenzione casomai avessi commesso un errore in uno dei miei monologhi, per non farmi notare dalla critica: toccava a chi aveva una parte importante cavarmi di impaccio. Non si trattava più di essere la protagonista, ma un personaggio secondario nello spettacolo della mia stessa vita”.

Marina dipendeva da Oscar, era lui a decidere e a tenere il timone della loro vita; lei si definiva la sua copilota, poiché si era sempre sottratta alle responsabilità per paura di rischiare e di non essere all’altezza delle situazioni.

Olivia coglie fin da subito la sofferenza che Marina cerca di nascondere agli altri, perché la fioraia sembra avere un potere speciale: è una lettrice di persone. Cataloga tutti come fa con le sue piante, mantenendo la convinzione che le donne avessero una grande somiglianza con i fiori e per questo cerca di coglierne le sindromi, ossia quel complesso di fenomeni che le raggruppano e le caratterizzano. In questo negozio, la protagonista conoscerà altre quattro donne, clienti fisse e solite alla ricerca di fiori da regalare agli altri.

Sarà grazie alla loro frequentazione che Marina comincerà a mettere in discussione se stessa e ad affrontare le sue paure: “[…] per ricostruirsi, ogni essere umano ha bisogno di trovare la propria oasi personale. Un luogo che racchiuda la pace anelata, in cui circondarsi delle cose che ci rendono felici per isolarci in loro compagnia quando ne abbiamo bisogno. Una tana in cui andare in letargo, per quanto sia estate. Una serra con un microclima perfetto per crescere, trasformarci e tornare forti”.  

Marina, infatti, si era sempre sentita senza passioni, iniziative o speranze, con il forte timore di ricominciare ad amare un altro uomo che non fosse Omar; al quale aveva promesso di navigare la sua barca e di disperdere in mare le sue ceneri. Marina però non riesce nemmeno a prendere in mano la sua esistenza. L’incontro con Olivia, tuttavia, le cambierà la vita, perché questa le insegnerà a comprare i fiori per se stessa, per ritrovare il valore insito in ogni donna che non deve dipendere da un uomo, per trovare la propria felicità: “Mi ripromisi due cose: che nessuno mi avrebbe mai più detto cosa fare con il mio corpo né con il mio cuore. Avevo pagato un prezzo troppo alto […] ho lavorato sulla mia felicità. Senza tregua. Ho lavorato per trovare il mio posto nel mondo.”

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

“Donne che comprano fiori” è un romanzo di Vanessa Montfort, edito da Feltrinelli.

È un romanzo che richiama i principi di autonomia e indipendenza, nonché di amor proprio. Un amore che diventa emblema dei fiori, che le protagoniste non sanno regalare a se stesse. Una trama che rispecchia quanta centralità perdiamo nelle nostre vite, quando lasciamo agli altri i ruoli di protagonisti indiscussi e diventiamo delle comparse, disperdendo le nostre identità, le aspirazioni e i nostri desideri. È un romanzo che ci insegna a riacquisire il rischio di vivere, tralasciando il timore di divenire ciò che desideriamo essere veramente. La protagonista, infatti, ci insegna: “E improvvisamente smisi di avere paura […] perché il fallimento non esiste. Esiste soltanto la fine delle cose. Non ci insegnano ad accettare la caducità di ciò che è importante. Non ci insegnano che a volte l’unico fallimento è l’inerzia di farle continuare”.

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