S ono fuggito. Sì, sono evaso. In mongolfiera. Librandomi nell'aria ho valicato pareti e muri, che sono tornati di moda: quelli delle case, delle cinte daziarie e delle frontiere statali. La pandemia ci ha convinto che le barriere servono, quelle reali e quelle metaforiche. E che un muro non segna la linea di demarcazione fra buoni e cattivi. Sono scappato dagli arresti domiciliari perché avevo bisogno di libertà: soltanto e semplicemente per questo. Ma non vi sembri poco. Riletti, come libri d'occasione, il “Decamerone” e “Le mille e una notte”, scemata la moda dei canti dalle finestre e dai balconi, che era proprio una scemata patriottarda da carcerati, mi sono involato. Prima che i presidenti Conte e Solinas sguinzaglino le Forze dell'ordine e quelle Armate per cercarmi e ricondurmi in cattività, preciso che la mia è una fuga ideale. Ho lasciato il corpo a casa e me ne sono andato in mongolfiera. Se vanno a cercarlo lo trovano accasciato sul divano davanti al televisore spento, e di quello devono accontentarsi. Ma non trovano me, io non ci sono. Io sono altrove, lontano dall'incubo, cullato da un sogno. I sogni sono la ricchezza dell'anima e non voglio rinunciarvi. Non fatelo sapere però allo statista Delrio: potrebbe venirgli in mente la funesta idea di una patrimoniale anche sui sogni.

TACITUS
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