C hi l'avrebbe mai detto. Nel 2020 ci si accapiglia ancora sul valore della verginità. Non nei sacri palazzi vaticani dove l'argomento, superati delicati sofismi dialettici, da decenni è stato messo in naftalina. Bensì nella libertaria e libertina Francia. A Parigi si discute sulla proposta di abolire per legge il certificato di verginità. L'opinione pubblica è divisa. L'Associazione dei ginecologi precisa: «È un attestato che viene rilasciato dopo un controllo dell'integrità dell'imene. Ne fanno richiesta i giovani, i genitori e i futuri mariti». Ribattono i contrari: «È una pratica retrograda, sessista e umiliante. Roba da pochade». In verità non solo pochade. Anche letteratura e teatro ne hanno trattato con ironia e irrisione. Marcel Prevost, sul finire del 1800, incentrò proprio su questo argomento “Les demi-vierges”, romanzo di successo e grande scandalo. Mise alla berlina la borghesia del suo tempo svelandone l'ipocrisia, la prurigine, la dabbenaggine. Raccontò le abilità erotiche di ragazze “per bene” ma spregiudicate, che pur concedendosi a pratiche sessuali mantenevano integra la loro verginità anatomica. Le definì “mezzo vergini”. “Come molti politici”, commentò la stampa dell'epoca. E come potremmo dire anche noi oggi riferendoci a gran parte del nostro Parlamento.

TACITUS
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