A ndiamo in pausa. Regaliamoci una divinatoria poesia scritta mezzo secolo fa da Eugenio Montale. Una ricreazione culturale fa bene alla salute e allo spirito. I tempi sono tristi, le risorse scarseggiano, i bilanci familiari sono grami, quelli aziendali hanno l'asma, anche i borghesi piangono. I ricchi non ancora, ma avvertono i brividi dell'influenza. Soltanto alcuni della corte chigiana sostengono che l'aria sta diventando salubre. É una parte in commedia che devono recitare per darsi coraggio. Il segno distintivo di questi teatranti è la maschera, che hanno imposto anche a noi. «Chissà -scrive liricamente Montale- se un giorno butteremo le maschere / che portiamo sul volto senza saperlo. / Per questo è tanto difficile identificare / gli uomini che incontriamo. / Forse fra i tanti, fra i milioni c'è / quello in cui viso e maschera coincidono / e lui solo potrebbe dirci la parola / che attendiamo da sempre. Ma è probabile / che egli stesso non sappia il suo privilegio. / Chi l'ha saputo, se uno ne fu mai, / pagò il suo dono con balbuzie o peggio. / Non valeva la pena di trovarlo. Il suo nome / fu sempre impronunciabile per cause / non solo di fonetica. La scienza / ha ben altro da fare o da non fare”. Ora rileggiamola, solfeggiamone le parole come musica. I grandi poeti sono profeti.

TACITUS
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