F ra due giorni comincerà la manifestazione canora italica. L'attesa è stata lunga e tormentata: incertezze, rinvii, defezioni, immaginifiche trovate anticovid, proposta folle di un transatlantico con festoni e lustrini di gran gala alla fonda; pubblico sì pubblico no, glorie canterine e glorie pedatorie. Tutto fa spettacolo. Infine l'annuncio liberatorio di Amadeus: anche quest'anno, nonostante la pandemia e la catastrofe economica, avremo il nostro Festival. Non a febbraio ma a marzo, con tante scuse per il ritardo. Come gli antichi Romani anche noi ogni anno aspettavamo febbraio per un'allegra ricreazione. Per loro era il mese purificatorio, per noi quello del canta e spassa; loro depuravano le coscienze con i riti sfrenati dei Lupercali celebrati da giovani sacerdoti seminudi; noi ci concediamo alle più contenute liturgie pop di San Remo officiate da cavalieri in smoking e dame in abiti da sera. Loro, con riti propiziatori, a febbraio invocavano il dio dei campi perché allontanasse i lupi; noi a febbraio abbiamo chiesto alla divinità laica del Colle un miracolo analogo, ma politico. Che ci ha concesso. Ora, in attesa di vedere come butta, svaghiamoci un po'. Con un auspicio: che l'anno prossimo non si debbano celebrare altri riti lupercali ma soltanto quelli insulsi delle canzonette.

TACITUS
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