N on buttiamo via come tempo perduto della nostra vita questi giorni di inattività forzata. Approfittiamone per fare i conti con noi stessi, ognuno con la sua coscienza civica e sociale. La sosta diventi un ozio creativo, non paranoia; alimentiamo interessi culturali alternativi a quelli monotoni della quotidianità. Chi può scriva, in concorso con altri, il suo Decamerone. I sistemi telematici ci consentono di fare gruppo anche a distanza. Restiamo diffidenti l'uno dell'altro come il coronavirus e Conte ci impongono; ma ripariamoci dietro uno schermo di computer, non di cemento armato. Se per caso incontriamo un amico al supermarket non abbracciamolo: un gesto d'affetto può essere un gesto infetto. Rispettiamo l'isolamento; consideriamolo, più che un ordine ministeriale, un imperativo etico. Persino la Chiesa s'è messa in quarantena. Sprangati i portali della basilica di San Pietro, abolite le funzioni religiose. Solo benedizioni virtuali, messe e omelie in streaming, dieta eucaristica. I valori spirituali retrocedono, quelli materiali avanzano. Eppure nei momenti gravi dell'umanità la Chiesa aveva sempre fatto sentire la sua voce perché anche l'anima ha bisogno di cure. La religione era un rifugio, prospettava il miracolo. Ma i tempi cambiano. I papi pure.

TACITUS
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