Q ualche notte fa, a Quartu, un'auto ha preso fuoco. Era una situazione pericolosa. La vettura era parcheggiata in un vicolo senza uscita e in fondo, in un cortile, si affacciavano tre appartamenti i cui abitanti non si erano accorti di niente e continuavano a dormire. I vicini erano in strada: qualcuno cercava di domare le fiamme con una pompa da giardino, altri cercavano, invano, di avvertire le persone in pericolo. I vigili del fuoco sono intervenuti subito. L'autobotte rossa non aveva fatto in tempo a fermarsi (dopo che l'autista l'aveva condotta non senza difficoltà nelle strette vie del centro storico), che un vigile aveva già srotolato la manichetta, un altro aveva attivato il computer e aperto il flusso d'acqua, mentre altri due agivano da supporto. Il caposquadra osservava, senza parlare. Non ce n'era bisogno, i suoi uomini sapevano cosa fare. In pochi minuti tutto risolto, alle persone intorno è venuto spontaneo mormorare un “grazie”. I “nostri” pompieri spengono incendi, aiutano gattini in difficoltà, liberano persone dagli ascensori bloccati, soccorrono terremotati e alluvionati. Tutti vogliono bene ai vigili del fuoco. Tranne il loro datore di lavoro, lo Stato italiano. Molti di loro sono precari da decenni e sono tra i dipendenti pubblici peggio pagati.

IVAN PAONE
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