N on mi fosse venuta l'insana idea di fare il giornalista, avrei voluto fare l'ambasciatore. Ne ho un'immagine mitica. Possibilità di girare il mondo, eleganti ricevimenti in sontuosi saloni, cene raffinate con camerieri in guanti bianchi, la pomposa uniforme diplomatica con la fascia, il cappello col pennacchio e i decori. Poi ho conosciuto dell'esistenza (spezzata a 43 anni) di Luca Attanasio, il più giovane ambasciatore italiano, assassinato nella Repubblica democratica del Congo durante una missione umanitaria insieme al carabiniere di scorta e all'autista. E ho visto una foto di Luca (niente “eccellenza”, lo chiamavano tutti per nome) in t-shirt insieme a un gruppo di bimbi congolesi. E ho saputo che non organizzava alcun ricevimento in ambasciata ma faceva attività umanitaria nei villaggi dove Ebola e miseria vanno a braccetto. E ho sentito padre Giovanni Magnaguagno, missionario in Congo, l'ultimo a parlargli prima che morisse, definirlo un uomo «fuori dal comune» e un cattolico «dotato di fede sociale», fatta cioè non solo di preghiere ma di impegno per il prossimo. Attanasio è la faccia nascosta dell'Italia. Quella che si vede solo quando muore una di queste persone “fuori dal comune”.

IVAN PAONE
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