U n partito “balcanizzato” eppure fondamentale nei delicati equilibri politici. Diviso in mille rivoli. La fronda ribelle sulle nomine ha alimentato nuove tensioni interne, che il reggente sta facendo di tutto per placare. C'è chi tra i vertici spinge per l'elezione di un nuovo capo politico, in modo da poter ripartire con un nuovo assetto. C'è chi, invece, vorrebbe dar vita a una nuova politica che possa dare sostegno all'esecutivo. Quel che resta del partito è suddiviso in almeno quattro macro-aree, a loro volta atomizzate in frazioni in grado pure di contendersi ruoli e temi all'interno di una stessa area.

Ci sono i progressisti - eredi in parte dell'ala ortodossa - che vedono di buon occhio l'alleanza di governo e vorrebbero anzi una coalizione più stabile e duratura, pur mantenendo un'identità indipendente. C'è poi un fronte moderato, che di fatto rappresenta il nerbo di governo del partito. Sganciati ci sono i neo-pragmatici, anello di raccordo dialogante tra le varie sensibilità. Quattro partiti in uno, voglia di resa dei conti, accuse e stilettate. Se ci fosse un congresso adesso, probabilmente finirebbe a cazzotti.

Sembra la descrizione (fatta dal Corriere della Sera) della Dc degli anni 70. Invece è quella del M5S del 2020. Quello che parlava di nuova politica.

IVAN PAONE
© Riproduzione riservata