S trana categoria (o casta?) quella degli scrittori e degli intellettuali in genere. Si sono sempre auto attribuiti il compito di cambiare in meglio la società in cui vivono ma, stringi stringi, ben poco fanno e anzi spesso scappano. L'impegnatissimo attore Arnoldo Foà, quando Berlusconi vinse per la prima volta le elezioni nel '94, ripudiò il suo Paese: «Non voglio più vivere in Italia, vado all'estero». Per la precisione in una villa alle Seychelles, mica in Sudan ad aiutare i bimbi poveri. Adesso tocca a David Leavitt, strafamoso scrittore americano, liberal naturalmente, che nel corso della sua esistenza dedicata alla povera gente ha studiato a Yale, la terza più antica università statunitense, costo annuale della retta 65mila dollari, ha dimorato a Manhattan e talvolta a East Hampton, località di villeggiatura per milionari affacciata sull'Oceano Atlantico che equivale al nostro Porto Cervo, tanto per intenderci. Ma adesso David non ne può più di questa vita: «Se rivince Trump», ha annunciato l'autore di “Ballo di famiglia”, che con i suoi romanzi ha scalato le classifiche delle vendite, «mi trasferisco all'estero. Dove? Ma in Italia, naturalmente». Il Paese di Di Maio, Salvini, Casini e Berlusconi. Dalla padella...

IVAN PAONE
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