C 'è chi fa, c'è chi disfa. Dante fece, Di Maio disfa. L'accostamento è irriverente, e vuole esserlo. Ogni tanto un elettroshock è necessario per svegliare la società dal torpore in cui la confinano quei politicanti che, per ricorrenti sberleffi della Storia, si incuneano nella politica, arte suprema del vivere civile. Dante ha costruito la lingua italiana e con essa l'identità di un popolo. Poi sono arrivati i distruttori. Oggi il picconatore più autorevole è Gigi Di Maio, che vestendo avventurosamente i panni di ministro degli Esteri così straparla: «Perché è logico che abbiamo avuto aiuti ma abbiamo avuto bisogno anche di comprare all'estero e se abbiamo potuto comprare all'estero con contratti con prezzi di mercato è stato grazie al fatto che abbiamo potuto avere dai governi dove siamo andati a comprare anche la possibilità di esportare i prodotti che acquistavamo». Totò direbbe a Peppino: virgola, punto, due punti, punto e virgola. Il linguaggio moderno, adattato ai mezzi elettronici della comunicazione, si sta impoverendo. Il vocabolario è sempre più scarno, il senso delle parole è ambiguo. Persino Di Maio, che pure è un pischello istruito essendo universitario fuoricorso, va nel panico quando deve distinguere un congiunto da un congiuntivo e un decreto-legge da un decretino.

TACITUS
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