A parte le stagionate freddure sul paziente che non ha pazienza (prima attestazione in “Totò Diabolicus” del 1962, da allora è ufficialmente vecchia) sull’origine delle aggressioni a medici e infermieri si può dire quasi tutto.

Si può fare qualche considerazione su quanto è sfasciata e insoddisfacente la sanità, con conseguente frustrazione degli utenti, e di certo non si sbaglia.

Si può anche tentare un discorsetto più azzardato su quanto il meccanismo neurologico della ricompensa istantanea, iperstimolato dalla tecnologia della comunicazione (wow, mi hanno risposto su whatsapp, hanno reagito al mio post, ho una notifica sul cellulare) ci renda più irrequieti, meno capaci di flemma e di attesa, non solo dell’esito di un esame importante ma anche semplicemente del nostro turno in un ambulatorio.

Ma a questo punto - giusto per rimanere nel filone generico e innocuo del “signora mia che tempi” al quale a volte più o meno inevitabilmente si riduce l’opinionismo - e se con questa tendenza dei più rozzi e ignoranti a mettere le mani addosso ai camici c’entrasse la svalutazione del sapere scientifico e delle professioni sanitarie che abbiamo visto divampare col Covid, alimentata da quattro cialtroni per questioni di consenso?

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