I n questi giorni circola il video della violoncellista Camille Thomas che esegue il “Kaddish” di Ravel sul tetto dell'Institut de France e spiega che «la bellezza ci salverà: può essere il nostro nutrimento nei momenti difficili, molto più che guardare una serie su Netflix».

A parte il fatto che alcune serie di Netflix sono molto belle, in questa frase c'è qualcosa di fastidioso. Sì, è un'affermazione di Dostoevskij e di altri mostri sacri, ma proviamo a parlarne senza complessi. La bellezza non è una cosa semplice, non è un panino che si lancia a un affamato, altrimenti a un povero cristo gli molli mezzo chilo di Mozart, due etti di Picasso e lo hai salvato. Alla bellezza e al suo godimento si arriva con l'educazione. Servono impegno e due fortune: avere una prof o uno zio o un Daverio che ti danno strumenti e stimoli e poi la possibilità di dedicarti un po' al bello perché non hai troppi problemi di debiti, di ignoranza, di droga o di salute per farlo. Quella frase suona (può suonare) antipatica perché riflette un calvinismo estetico: se il Signore ti fa la grazia di percepire il bello, tramite l'istruzione o la biblioteca di papà/mammà, buon per te: sei salvo.

Ma se invece fosse tutto più semplice e di sinistra, e siamo noi che dobbiamo salvare la bellezza? Per chi verrà, ma soprattutto per noi. Nelle scuole e nelle case.

CELESTINO TABASSO
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