I n un mondo rimpicciolito dal web e dal Covid c'è ancora chi si appassiona alle differenze Cagliari-Sassari. E allora può avere un interesse da collezionisti notare che i giovani cagliaritani tra loro spesso si chiamano “bro” o “fra”, mentre a Sassari si usa “bro” (che sarebbe bro' con l'apostrofo, da brother) ma spesso “fra” diventa frate'.

Innocue mode linguistiche per fingere che la propria cricca (che a Sassari è una greffa) sia una gang. Ma fa sorridere pensare che sono serviti 25 anni per saltare un grado di parentela, visto che un tempo da ragazzi a Sassari ci si chiamava cugi'. Anzi: cuggi'. E poi a Cagliari (ma a Sassari no) c'è “zio”, che fra giovani è normale però un adulto a chiamarlo così si sente antico. A differenza dei bambini, i ragazzi non sono nostri contemporanei ma solo coinquilini dei nostri giorni. Sennò ci sarebbe da dirglielo: frate', ma tu lo sai che avevamo appena smesso di chiamarci cuggi' ed è arrivato un nonno che si faceva chiamare papi? Ed era l'unico nomignolo gergale che a noi adulti era consentito usare. Bei tempi: ora c'è l'unità nazionale e non si può sfottere Salvini, che poi lo spread piange, figurarsi il Cav. A chi vuol fare lo spiritoso, il momento storico consente ancora appellativi giovanilisti (che a lui piacciono) però solenni. Chissà se Papi della Patria può funzionare.

CELESTINO TABASSO
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