« S offrire oggi per festeggiare il Natale». Sei parole dense di speranza: penare in terra per fare festa nei cieli. Frase dal sapore escatologico, che sintetizza il destino ultimo e felice dell'individuo e dell'umanità. Non l'ha pronunciata solennemente un porporato dell'alta curia romana per dare conforto alla paura dell'uomo davanti all'ignoto. È la conclusione dell'omelia, prima dell'amen, del Nostro Amato Premier. Un modo paterno d'infondere coraggio ai figli spaventati dall'incubo. La frenesia di esternazione porta Conte a non dare peso a ciò che dice. Come quando, nel luglio del 2019, spergiurò: «Io l'ho detto: non ho la prospettiva di lavorare a una nuova esperienza di governo; la mia esperienza di governo termina con questo». Per confermare il suo proponimento di uomo che ha una parola sola e irreversibile, due giorni dopo, parodiando il mago Houdini, annunciò: «Se cade il governo sparisco». Il governo gialloverde cadde sotto il solleone di ferragosto, ma il sortilegio non gli riuscì. E non sparì. Assunta una dose equina di “Vitamina del Colle”, la sua carica virale aumentò e contagiò, oltre al già positivo Di Maio, anche Zingaretti, Renzi e Speranza. Con i quali risalì sull'ottovolante di Palazzo Chigi. Altro giro, altra corsa, altre minacce, altre promesse. Altre bugie.

TACITUS
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