"E' un vero peccato. Mi avrebbe fatto piacere portare i miei quattro nipotini attaccati a me e fare il giro del

campo con loro. Sarebbe stata una grande soddisfazione per me e per i miei figli".

Il grande rimpianto di Angelo Domenghini, che avrebbe voluto festeggiare il cinquantenario dello scudetto del Cagliari, campione d'Italia nel 1970, nella festa che era prevista al Sant'Elia.

L'emergenza coronavirus non l'ha permesso, ma l'ex attaccante torna a ricordare quei momenti ai microfoni di Extratime, programma di Radio 1 Rai. "Eravamo tranquilli e consapevoli di avere una squadra competitiva, poi i risultati ti danno forza, morale ed entusiasmo. Il pubblico dell'Amsicora, inoltre, era a una cosa assurda, metteva davvero paura agli avversari".

"Gli spalti - ricorda - erano a un metro e mezzo dal campo e c'era un'atmosfera caldissima, ci allenavamo su quello stesso campo e ne conoscevamo ogni angolo. Soprattutto Gigi Riva aveva ormai preso dei punti di riferimento e quando tirava in porta non sbagliava mai. Dopo l'allenamento ci fermavamo sempre a provare i tiri, io e Gigi, con il tecnico Scopigno che fumava seduto in panchina".

Subito dopo lo scudetto, il trasferimento al Sant'Elia: "Lì abbiamo perso forza, perché con la pista di atletica ci voleva il cannocchiale per vedere la partita e il pubblico era più distante".

Infine un pensiero sul coronavirus, per lui che vive a Lallio, nella Bergamasca, una delle zone più colpite: "E' veramente terrificante - dichiara -, sembra di essere in guerra. Quando mi affaccio dal balcone non vedo una persona, solo quei pochi che portano i cani a fare la passeggiata. Io in cinque minuti sono in centro a Bergamo ma è da 55 giorni che non vedo i miei figli e i miei nipoti. Mi vien voglia di prendere la macchina, ma bisogna stare a casa. Perché i focolai più grandi sono stati qui, proprio attaccati a noi".

(Unioneonline/L)
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