Nessuno aveva mai osato tanto. A sorprendere, in "Murder most foul", la nuova canzone che Bob Dylan ha fatto conoscere al mondo pubblicandola sulle principali piattaforme digitali nel bel mezzo di un'emergenza planetaria, non è tanto la durata (poco meno di 17 minuti) quanto l'ampiezza di respiro. Un respiro epico, da poema omerico: lunghi versi recitati su un dimesso arpeggio di pianoforte, tre accordi legati dal lamento di un violoncello. E, naturalmente, il suono della voce di Bob Dylan: nasale, graffiata, una voce che arriva da lontano (antica già nelle prime registrazioni) da cui i suoi versi non sono separabili.

L'aveva detto nel discorso solenne per l'accettazione del Premio Nobel, no? Le canzoni nascono dalla voce, proprio come nascevano per essere detti e consegnati alla memoria orale, non scritta, gli esametri di Omero. Una canzone sull'assassinio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, dunque. "Centinaia guardavano, nessuno ha visto". Su Kennedy certo, "condotto al macello come un agnello sacrificale" come il servo di Jahvé cantato dal profeta Isaia. Su Kennedy ma anche su tutto ciò che in questi 57 anni, dall'attentato di Dallas alla presidenza Trump (mai nominata ma inevitabilmente presente, come termine di confronto) è capitato all'America (e, di conseguenza, al mondo occidentale). Epico il respiro, elegiaca l'ispirazione: Dylan piange Kennedy e con lui i valori di libertà, pace e amore che il presidente ucciso a Dallas incarnava. Nomina per rimpiangere: i Beatles, Woodstock e l'Era dell'Acquario, Via col Vento, Tommy e la Acid Queen del poema rock per eccellenza, "Tommy" dei The Who, un'opera di cui riprende, condivide, rilancia l'ambizioso progetto di dimostrare che no, non sono solo canzonette. Non possono esserlo, se guardano a Omero. E torniamo lì, al poeta sovrano, l'aedo cieco che assembla cicli epici: un perfezionatore, un sistematore, più e meglio che un autore.

Proprio come i grandi del blues, molti dei quali elencati nel testo sterminato, dopo i classici del rock'n'roll, del soul, del jazz, del rock, dagli Eagles ai Queen ("Another one bites the dust"). Scorre come il maestoso fiume del Mississippi, questa canzone, e come le acque del fiume maestoso o i versi dell'Omero americano e democratico Walt Whitman, tutto accoglie e mescola in sé. Dylan nomina predecessori e contemporanei, li omaggia e li compiange, come un vecchio artista spinto dall'urgenza di riassumere, immortalare il suo mondo, consegnarlo a un futuro incerto: rime e sillabe incapsulate e spedite nello spazio perché se ne salvi, almeno, la memoria. È anche una lunga playlist, questa canzone sconfinata: Suona "Blue Sky"; suona Dickey Betts / Suona Art Pepper, Thelonious Monk / Charlie Parker e tutta quella droga / Tutta quella droga e "Tutto quel Jazz" / Suona qualcosa per l'uomo di Alcatraz / Suona Buster Keaton, suona Harold Lloyd / Suona Bugsy Siegel, suona Pretty Boy Floyd / Gioca un numero, tenta la sorte / Suona "Cry Me A River" per il Signore degli dei / Gioca il nove, gioca il sei / Suona per Lindsey e Stevie Nicks / Suona Nat King Cole, suona "Nature Boy" Suona "Down In The Boondocks" per Terry Malloy / Suona "It Happened One Night" e "One Night of Sin" / Ci sono 12 milioni di anime in ascolto / Suona "Merchant of Venice", suona "Merchants of Death" / Suona "Stella by Starlight" per Lady Macbeth.

Macbeth, dunque Shakespeare. Lo stesso Shakespeare dal cui "Amleto" viene il titolo: "L'assassinio più folle". O "più ripugnante". L'assassinio di un re: Kennedy, ancora. E allora chi c'è nei panni di Amleto? Dylan stesso, che come Amleto si finge matto, nascondendo i propri piani di vendetta dietro versi sorprendenti come trucchi da giocoliere. Lady Macbeth nello stesso verso di "Stella by Starlight": il Bardo intravisto in filigrana dietro il canzoniere americano, l'eleganza della lingua elisabettiana a monte dei ritmi sincopati del jazz, il mondo tragico, sconvolto e violento delle tragedie shakespeariane come ombra del mondo tragico, sconvolto e violento degli ultimi decenni.

Dylan mira al bersaglio grosso, rischia, rilancia una scommessa fatta già nel 1966, quando pubblicava "Sad-eyed lady of the Lowlands", una canzone così lunga che occupava un intero lato del primo Lp doppio della storia della discografia. Una scommessa rilanciata nel 1986 con "Brownsville girl", una canzone-film firmata a quattro mani con il drammaturgo Sam Shepard, e nel 2012 con "Tempest", la ballata a ritmo di valzer che raccontava il naufragio del Titanic.

Questa "Murder most foul", però, è più. Più tutto: più lunga, più ampia, più ambiziosa, più bella. E più necessaria: Dylan, profeta e sciamano, ha tirato fuori dal cassetto proprio ora questa canzone "registrata qualche tempo fa". Ha intuito che proprio di questi 17 minuti di piano, violoncello e voce, di questa enorme elencazione elegiaca di cose andate, canzoni andate, film andati, miti andati aveva fame e sete il mondo di questi giorni. Il mondo che, tutti ripetono, non sarà più lo stesso, dopo il Covid-19. Il mondo oppresso dalle tenebre, il mondo-barchetta squassata dalla tempesta per cui Papa Francesco ha levato la sua preghiera straordinaria davanti a una piazza San Pietro deserta, livida e bagnata dalla pioggia e dai riflessi delle luci delle auto della polizia. Se una canzone può osare levarsi di fronte a quell'altissimo, indimenticabile momento, è questa.
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