Ho letto che nella chirurgia per il tumore della prostata si riesce sempre di più ad evitare il ricorso ad interventi particolarmente pesanti. È proprio così?

Ovviamente ogni caso va inquadrato diversamente e solo l'urologo che segue il malato può scegliere la via più efficace per contrastare la malattia. Certo è che la chirurgia conservativa, quell'insieme di trattamenti - prevalentemente gestiti con i robot - che puntano a salvare l'organo o la ghiandola colpita dalla neoplasia, invece che asportarlo, è sempre più diffusa. A volte addirittura non si ricorre nemmeno al classico intervento chirurgico, che in alcuni casi non è nemmeno indicato, ma piuttosto a qualcosa di alternativo. La terapia focale con utilizzo di ultrasuoni ad alta intensità sembra avere risultati oncologici soddisfacenti, senza portare a una compromissione funzionale. Viene effettuato mediante una sonda ecografica transrettale dedicata, in grado di emettere speciali ultrasuoni che provocano la morte delle cellule tumorali. La degenza postoperatoria è di 24-48 ore e gli effetti collaterali in termini di sintomatologia irritativa o ostruttiva (getto debole o urgenza minzionale) sono minimi. Nessun problema si riscontra sull'erezione e sull'eiaculazione. A 5 anni di follow-up la sopravvivenza cancro specifica può raggiungere il 99 per cento. Al centro della vera e propria chirurgia conservativa c'è il comune denominatore, la grande evoluzione tecnologica avuta con l'avvento della chirurgia robotica (che offre al chirurgo la possibilità di "vedere in 3D" garantendo movimenti sempre più fini e precisi) e l'introduzione di nuove piattaforme per trattamenti mini-invasivi. Questo, insieme alla sempre maggior richiesta da parte dei pazienti di poter preservare le proprie funzioni fisiologiche in termini di capacità minzionale e sessuale, ha fortemente influenzato la chirurgia del terzo millennio.

Francesco Porpiglia - Chirurugo
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