“In questa situazione di muro contro muro dei due schieramenti, anche una goccia d’olio potrebbe servire a sbloccare la situazione”: questo esclamerebbe, ancora una volta, Giulio Andreotti, uomo simbolo della Prima Repubblica, se si trovasse a condividere con noi questo dramma sanitario, politico ed economico. Per il momento, tuttavia, la “goccia d’olio” ancora non si trova e oramai il tempo stringe.

Siccome tuttavia nulla è accaduto, e/o accade, per caso, soprattutto in politica, che senso aveva garantire la fiducia in Senato al Governo Conte – Bis (perché di conto sappiamo bene fare tutti noi, e specialmente anche gli astenuti, i presunti “traditori” di partito, e/o i provvidenziali Ciampolillo) se alla clamorosa manifestazione di intenti non si sia poi disposti a lasciar seguire i fatti concludenti? Una circostanza credo sia chiara per tutti: nessun rappresentante parlamentare vuole davvero tornare alle urne, neppure Matteo Salvini (lontano anni luce, peraltro, da ogni concetto di sana Realpolitik che aveva sempre caratterizzato, invece, l’azione politica del Senatùr Umberto Bossi), nonostante l’apparente risolutezza delle sue dichiarazioni.

Il problema vero sembrerebbe essere, allora, quello di trovare, o cercare di condizionare, la elaborazione di una formula di compromesso, possibilmente “ad excludendum”, per poter andare avanti nella legislatura corrente e che, “mutatis mutandis”, possa risultare apprezzabile per tutti gli schieramenti in campo e, quindi, largamente condivisibile. Ma attenzione: se il solo “problema” fosse da rinvenirsi, come pare sia, nella acquisita e indiscussa centralità della figura di Giuseppe Conte, nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, e se questo “muro contro muro”, quale sfida incrociata di resistenza, non accennasse a placarsi e a risolversi quanto meno nelle forme della cosiddetta “pace armata”, si arriverebbe comunque alle elezioni anticipate, i cui esiti, a mio modestissimo parere, non sarebbero poi così scontati o favorevoli, né per un centro-destra che spesso e volentieri ha mostrato una innaturale inclinazione al perseguimento dei condizionamenti provenienti dagli umori giovanili dei suoi pretesi esponenti sovranisti di punta, privi di reale cultura politica e di progettualità sul piano organizzativo, né, invero, per un centro-sinistra attualmente traballante per la cronica mancanza di una figura carismatica apicale di riferimento, il cui stato ansioso e fibrillante appare, peraltro, plasticamente governato dalla consapevolezza circa la propria incapacità nell’intraprendere quel necessario percorso di rinnovamento politico idoneo a riqualificarlo quale polo di rappresentanza privilegiata delle istanze di emancipazione provenienti dalle masse popolari. L’elettorato, inoltre, stanco e indebolito da una crisi pandemica senza precedenti, non ne capirebbe la necessità: l’insoddisfazione per il (mal) funzionamento del sistema politico nel suo complesso, ma soprattutto sotto il profilo della sua efficienza quanto a governabilità, potrebbe verosimilmente indurre due differenti, ma pur sempre catastrofici (sotto il profilo istituzionale) effetti: l’astensionismo di massa, oppure l’elaborazione di un voto popolare cosiddetto di “reazione” che andrebbe ancora una volta a squalificare le grandi coalizioni nazionali segnando la fine politica di diversi leader.

Detto altrimenti: qualora ancora qualcuno nutrisse dubbi di sorta, le urne, nella circostanza contingente, verosimilmente tornerebbero utili, in termini di consenso “consacrato”, al solo Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte il quale, fino ad oggi, in forza del suo agire in maniera responsabile e avveduta, nonché in forza del suo adoperare sempre e indistintamente un eloquio misurato e rassicurante, ha saputo incidere positivamente nell’immaginario collettivo condizionandone fino in fondo la potenziale preferenza.

Se proprio volessimo poi dirla tutta, considerata la definitiva débâcle di Matteo Renzi, vittima del suo stesso karma per aver voluto tentare di “rottamare” Giuseppe Conte ed essere rimasto invece “rottamato”, la soluzione più “arlecchina” sembra apparire come la più utile sul piano degli effetti pratici: intendo quella di un esecutivo di minoranza “rafforzato” di vecchio stile ma sempre inossidabile sul piano materiale, guidato incontrovertibilmente dallo stesso richiamato Giuseppe Conte. Qualcuno potrebbe ricordarmi che siamo ben lontani dai tempi della Prima Repubblica e dei suoi articolati meccanismi di funzionamento: lo so, ne sono perfettamente consapevole. E’ innegabile che un esecutivo di minoranza sia tendenzialmente il meno indicato e necessiterebbe di un patto solido intercorrente non solo tra le forze politiche di maggioranza relativa, ma anche tra queste ultime e quelle, se non tutte alcune, di opposizione, come già verificatosi ai tempi del Governo Leone I e del Governo Andreotti III. Ma è altrettanto innegabile che, ora come ora, un esecutivo così composto, oltre ad uscirne rafforzato e pienamente operativo per il bene comune, potrebbe ritornare utile anche nel soddisfare le molteplici esigenze dei suoi potenziali nuovi protagonisti aderenti di cosiddetta “minoranza interna” i quali, dal canto loro, avrebbero la possibilità di incidere direttamente anche sulla scelta del prossimo Presidente della Repubblica. Il che non è affatto questione di poco conto. Perché se è vero, come è vero, che “i numeri sono importanti”, e “oggi lo (siano) in modo particolare”, comunque, “ancor più importante è la qualità del progetto politico” (cfr. Giuseppe Conte). In senso lato: aggiungo io. Tanto più allorquando ci si soffermi a riflettere su una circostanza incontrovertibile: i partiti tradizionali, e/o divenuti tali siccome convertitisi ai meccanismi dell’establishment, sono oramai concepiti come entità distanti e sorde agli impulsi provenienti dalla società civile e come tali impossibilitati nel portare avanti i cambiamenti endogeni necessari alla loro stessa sopravvivenza.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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