“Non è sufficiente riformare il Paese, dobbiamo reinventarlo”. Così Giuseppe Conte in occasione della conferenza stampa di chiusura degli Stati Generali sull’Economia, nell’ambito della quale, peraltro, ha voluto ribadire con orgoglio sincero di aver “scelto Villa Pamphili” come “sede istituzionale” dell’evento siccome “della bellezza dell’Italia” non ci si deve vergognare.

Nella medesima occasione, inoltre, non ha mancato di tendere la mano, per l’ennesima volta, verso le singole forze di opposizione, le quali, per tutta risposta, e con buona verosimiglianza fraintendendo grandemente il senso di quell’invito, hanno pensato bene di sottolineare, quasi a muso duro, che “il Centro Destra è(ra) unito” e che, semmai, “il Governo” avrebbe dovuto “convocare la coalizione” nella sua interezza.

Solito e sterile copione, insomma, che se per un verso più che oscurare la luce del premier attualmente più visibile dell’intera Eurozona altro effetto non è riuscito a sortire se non quello di farla brillare ancora di più, per altro verso, e per converso (quello stesso copione) è servito piuttosto a mettere in clamoroso risalto le crepe e la ruggine esistenti tra le forze politiche costituenti l’opposizione per essersi tradotte, tanto quelle stesse crepe, quanto quelle stesse ruggini, nella più clamorosa manifestazione di mancanza di fiducia interna che, ancora a tutt’oggi, costringe i partiti di minoranza, probabilmente loro malgrado, non solo a perseverare nella direzione di una unità asfissiante per essere la stessa debolmente ossigenata dalla sola necessità dell’esercizio del reciproco controllo all’evidenza diretto ad evitare il ripetersi delle circostanze che avevano tristemente interessato il panorama politico e parlamentare nell’immediato “post 4 marzo 2018”, ma anche a dar vita a improbabili accordi sulle ripartizioni delle candidature a livello regionale e comunale, per l’occasione delle prossime elezioni di settembre, completamente disancorati da qualsivoglia valutazione utile sulle caratteristiche dei territori potenzialmente da amministrare, e quindi anche da ogni valutazione concreta sull’individuazione degli “elementi” maggiormente rappresentativi in loco a prescindere dal partito di riferimento.

Se quindi tale è la condizione del centrodestra, non si può tuttavia affermare che la situazione sia più rosea nel “Nuovo centrosinistra”, ove le tensioni interne al Movimento 5 Stelle, ma anche l’incapacità del Partito Democratico di ritrovare non solo la propria unità, ma financo addirittura la propria identità, nonché, per finire, l’inaffidabilità di Renzi, hanno contribuito, e contribuiscono, a rendere massimamente difficile il già articolato esercizio della “governance”. La sensazione che se ne ricava, purtroppo, è quella di una totale mancanza di armonia negli interessi da perseguire cagionata, verosimilmente, dall’incapacità dei vari “Signorotti di Partito” di accettare, e/o operare, la corretta gestione del “divenendo” processo di innovazione tanto caldamente voluto dal presidente del Consiglio dei ministri per essere stato ingiustamente individuato, il medesimo si intenda, quale presunto e preteso artefice del fallimento dell’Italia. Ma siamo sicuri sia realmente così? Siamo sicuri che la causa del gravissimo stallo economico in cui versa il Paese sia da ascriversi unicamente al premier (o alla sua gestione della pandemia), reo d’aver solamente vista accresciuta la sua popolarità per essere riuscito ad offrire una immagine di sé e della politica del tutto innovativa, e per questo disancorata, rispetto al passato anche recente? Siamo davvero sicuri che gli Stati Generali, alla fine della fiera, siano stati veramente un flop? Siamo sicuri di voler pervicacemente dubitare della circostanza che gli Stati Generali abbiano realmente rappresentato lo sviluppo embrionale di un insolito quanto sperimentale processo di interpretazione delle future innovazioni sociali che da troppi anni la politica interna non è stata in grado di produrre?

Le risposte, per quanto io provi a sperimentare ragionamenti ulteriori e differenti, si presentano come prepotentemente concordanti nella loro conseguenzialità. Intanto, perché il professor Giuseppe Conte, diversamente da quanto mostrano di ritenere i disfattisti destrorsi e sinistrorsi, e con loro buona pace, nel suo “dinamico immobilismo moderato”, è riuscito, forse addirittura inconsapevolmente, non solo a rendersi oculato interprete dell’attesissimo processo di trasformazione del rapporto tra politica, società e Costituzione, ma anche a presentarsi come artefice e sperimentatore di nuova forma di liberalismo democratico che potrebbe divenire, nel prossimo futuro, anche la nuova formula di superamento dell’incertezza regnante sia nel campo sociale sia in quello giuridico.

Quindi, perché, gli Stati Generali convocati dal premier, a dispetto di quanti vorrebbero sminuirne l’importanza per non essere stati, probabilmente, altrettanto capaci di concepirli anticipatamente, hanno rappresentato di fatto una occasione fondamentale per ripensare ad una rinnovata strutturazione del modello sociale e politico italiano congegnato, finalmente, all’insegna del ritrovato interesse per la persona e per le sue esigenze primarie così come costituzionalmente garantite.

Infine, perché, Giuseppe Conte, giunto agli onori della presidenza del Consiglio dei ministri solamente nel 2018, sebbene inizialmente adombrato dall’ingombranza inconcludente di due vicepremier “in cerca d’autore” e desiderosi di raggiungere la massima visibilità sol per convertirla in termini di sterile consenso momentaneo, una volta liberato dalle briglie della sudditanza ideologica nei confronti dei due aspiranti “leaderini” giallo verdi, è esploso in tutta la sua concludenza oscurando inevitabilmente, e definitivamente, con la sua preparazione e serietà istituzionale, ogni altro leader di lungo corso, effettivamente disorientato nel comprendere il mutamento e le trasformazioni in atto non solo del linguaggio politico istituzionale, ma anche della politica in sé e per sé considerata per essere divenuta “altra” rispetto agli oramai desueti schemi del passato.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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