Ogni tanto, sebbene di rado, e sebbene non per mero spirito di benevolenza, i franco - tedeschi riescono addirittura a stupirci positivamente. E’ dei giorni scorsi, infatti, la notizia dell’intesa raggiunta, proprio tra Francia e Germania, non solo in merito alla più che auspicabile condivisione del debito in Europa per fronteggiare l’emergenza pandemica attraverso l’impiego di 500 miliardi di euro finalizzati al sostegno dei settori e delle regioni maggiormente colpite dalla crisi, ma anche in merito alla necessità di predisporre una vera e propria strategia di rilancio dell’economia europea basata sulla sovranità tecnologica e sulla elaborazione di una politica sanitaria comune. Quasi non ci si crede. Eppure, per qualche curioso arcano, il Presidente francese Emmanuel Macron, e la cancelliera tedesca Angela Merkel, ossia coloro che da anni si contendono l’egemonia della intera compagine geopolitica comunitaria, nella ferma e presuntuosa convinzione che “non (possa) esser (ci) un accordo tra 27 Paesi” laddove non si realizzi “prima (riamente) un’intesa franco-tedesca”, per usare le parole nude e crude del cugino d’Oltralpe, sembrano aver trovato la quadratura del cerchio.

Il nostro Premier Giuseppe Conte, dal canto suo, ha voluto salutare con cauta soddisfazione siffatta intesa, precisando, al riguardo, e secondo me comprensibilmente, che si tratta solamente di “un primo passo importante nella direzione auspicata dall’Italia” e che, in realtà, “per superare la crisi e aiutare imprese e famiglie”, sarebbe piuttosto maggiormente utile “ampliare il Recovery Fund”. Ma in che modo l’accordo tra due soli Paesi dell’Unione può contribuire a favorire la realizzazione dei suoi stessi contenuti? E, soprattutto, in che modo, la suddetta intesa, può contribuire a sollecitare l’adesione al progetto comune, o meglio che tale dovrebbe essere, dei restanti e turbolenti “Venticinque”? Per quale motivo la rifondazione dell’Europa della Solidarietà, se tale davvero è destinata ad essere, deve necessariamente superare il vaglio dell’odioso, “asse franco - tedesco”? Affidare le sorti della costruzione di una nuova Europa alla sola azione congiunta di Parigi e Berlino significa rassegnarsi a riconoscere la potenziale emersione di un vecchio/nuovo centro di potere finalizzato ad ottenere un rinnovato controllo silenzioso, ma invadente, della intera compagine, oppure, siffatta azione “tandem” rappresenta unicamente il punto di partenza necessario scandito dal ritmo bivalente, ma sempre unidirezionale, dei due Leader che, fino ad oggi, si sono rivelati i veri e propri “Signori d’Europa”? Quale è, se esiste davvero, il progetto recondito, la contropartita, che si cela dietro questo accordo tutto sommato inaspettato sebbene fortemente auspicato in termini meramente contenutistici? Per quale ragione i restanti Paesi Membri, specie quelli del Nord Europa in genere, notoriamente reticenti ad ogni forma di condivisione che possa ridurre il gap esistente tra le diverse economie europee, dovrebbero prestare la loro adesione? Le perplessità sono certamente tantissime e sicuramente comprensibili.

E altrettanto certamente, a mio sommesso modo di considerare, una corretta analisi delle circostanze descritte in epigrafe, non può trascurare una realtà fattuale incontrovertibile, una “questione politica” di fondo, a tutt’oggi non ancora risolta, che costituisce la chiave di lettura delle altalenanti vicissitudini politico-egemoniche europee. Detto altrimenti, il vero problema non è tanto la pretesa e sbandierata “superiorità”, originaria e/o acquisita poco importa, di Francia e Germania, quanto piuttosto, la sempre più grave posizione di estraneità assunta dall’Italia nella corretta gestione, e soprattutto, prima ancora, nel corretto controllo, di siffatta ambiziosa dinamica che, tuttavia, purtroppo o per fortuna non è ancora dato sapere, rischia, col tempo, di rivelarsi addirittura autodistruttiva tanto per i suoi ingombranti protagonisti, quanto per gli altri incolpevoli Paesi Membri, loro malgrado spettatori – satellite dei mutamenti incontrollati del variegato universo europeo. Intanto, perché questo nuovissimo tentativo di ripristinare una reinterpretata egemonia bipolare, comunque già esistente, proprio in occasione del tentativo di rifondazione dell’Europa, tradisce l’intento di Parigi e Berlino, a dire il vero non troppo celato, di subordinare il perseguimento di qualsivoglia secondario intento solidaristico volto al bene comune, alla riaffermazione prepotente dello strapotere di Macron e Merkel nelle rispettive aree di influenza, ossia nell’ambito della politica estera la Francia e nell’ambito delle politiche economiche la Germania.

Quindi, perché il solo pensare di riconoscere a questo sodalizio, già pericolosamente rinsaldato lo scorso anno ad Aquisgrana nel silenzio generale, il ruolo di chiave di svolta nella elaborazione di un nuovo concetto di Unione Europea, significa non solo rassegnarsi definitivamente a vivere una condizione di sudditanza ideologica, politica ed economica priva, per così dire, di “spazi di manovra” che possano essere “altri” rispetto a quelli direttamente e/o indirettamente connessi all’interesse primario perseguito dai sottoscrittori dell’intesa, ma anche, e di conseguenza, rinunciare al perseguimento di un autentico e ambizioso progetto europeo, laddove ancora realizzabile, fondato sulla parità formale e sostanziale di tutti i suoi aderenti. Infine, perché, quand’anche i Paesi maggiormente rigoristi dovessero cedere, sia pure non si veda come, alle stringenti pressioni dichiaratamente “solidaristiche” del sempre più forte asse carolingio, comunque, l’Italia in particolare, resterebbe ancorata al solito ed irrisolto problema di fondo, ossia alla sua quasi connaturale incapacità di “vendersi” opportunamente all’esterno mediante l’instaurazione di alleanze solide e ragionate che avrebbero perfino potuto condurre, con il trascorrere degli anni, ed oggi in particolare, alla valorizzazione di un perfetto triangolo equilatero di spartizione del potere tra Roma, Berlino e Parigi. Così non è stato, e proprio in questo momento di maggiore necessità, ci ritroviamo a pagarne lo scotto. Vogliamo restare ancora affacciati alla finestra attendendo le decisioni che altri prenderanno anche per noi, o vogliamo invece far sentire finalmente il nostro “peso”, pretendendo l’instaurazione di un unico salvifico sovranismo europeo, sintesi dei differenti sovranismi ed interessi nazionali?

Giuseppina di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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