"Certo che Conte dovrebbe spingerlo alle dimissioni. E lo farà, ne sono sicuro".

Così il vicepremier e ministro Luigi Di Maio in un'intervista al Corriere della Sera sul caso del sottosegretario leghista Armando Siri, coinvolto in un'inchiesta con l'accusa di corruzione, e a cui più volte i 5 Stelle hanno chiesto di dimettersi nonostante Matteo Salvini lo difenda a spada tratta.

"Questo attaccamento alla poltrona non lo capisco - dice Di Maio -. Gli abbiamo chiesto un passo indietro. Continui a fare il senatore, non va mica per strada. Parliamo tanto di lotta ai delinquenti e quando un politico è indagato per corruzione stiamo zitti? Eh no, non funziona così. Dove è la coerenza?".

Sulla tenuta della maggioranza, il capo del M5S rassicura: "Il governo è uno e c'è un contratto. Non si è rotto nulla, per noi va avanti. Vogliamo fare tante cose e in squadra. Mi auguro valga lo stesso per la Lega. Sapevo che non sarebbe stato semplice. Non mi delude la Lega, mi impensierisce quando evoca crisi di governo irresponsabili".

Di Maio dichiara di fidarsi ancora dell'alleato Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell'Interno: "Di lui sì, meno di chi gli sta intorno". Il riferimento è "a questo Paolo Arata che avrebbe scritto il programma sull'energia della Lega, che lo propose alla guida dell'Autorità Arera e che, per le inchieste, è il faccendiere di Vito Nicastri, vicino alla mafia. Credo che la Lega debba prendere le distanze da lui e chiarire il suo ruolo, visto che il figlio è stato assunto da Giorgetti".

Secondo Di Maio, dunque, Salvini "deve rispondere ai cittadini, non a noi. Noi abbiamo fatto quello che dovevamo, togliendo le deleghe a Siri".

LA RISPOSTA DI SALVINI - "Di Maio? Non l'ho sentito e non rispondo alle provocazioni", replica Matteo Salvini dalle pagine di Repubblica.

"Il presidente del Consiglio è libero di incontrare chi vuole - dice il leader della Lega -. Io con Siri ho parlato, mi ha detto di essere tranquillo e tanto mi basta. Per me deve restare al suo posto".

"Spero abbia modo di spiegare ai magistrati - prosegue il ministro dell'Interno - che in un Paese normale lo avrebbero chiamato dopo un quarto d'ora, non settimane dopo".

(Unioneonline/D)
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