La Sardegna conferma di essere un laboratorio molto interessante. Forse troppo, ma in ogni caso le elezioni regionali hanno confermato la tradizione di un voto regionale che di dritto o di rovescio impatta sul quadro nazionale. Nel 2009 Walter Veltroni perse il voto in Sardegna e anche la segreteria del partito, si dimise e cominciò la parabola fratricida del Pd che è giunta fino a oggi. Oggi non sappiamo chi perderà il posto.

Ma il dato politico più grande è la sconfitta del Movimento Cinque Stelle. I pentastellati il 4 marzo del 2018 conquistarono il 42 per cento dei voti, a un anno dalle elezioni e dopo 9 mesi di governo, mentre scriviamo galleggiano a quota 10 per cento. Parliamo di una differenza tra ieri e oggi che sfiora i 300 mila voti, un crollo che si abbatte sulla leadership di Luigi Di Maio che ha già delle conseguenze perché i Cinque Stelle hanno accelerato il vertice che deve cambiare le regole sui limiti di mandato e alleanze. È il tentativo di tappare la falla e proseguire la navigazione, operazione molto complicata perché il test dell'Isola apre una voragine sulla strategia del Movimento, la sua natura e la sua constituency elettorale.

La Sardegna era il terreno ideale (quindi con le condizioni tra le peggiori) per capitalizzare le aspettative sul reddito di cittadinanza: un giovane sardo su due è disoccupato, i numeri fondamentali dell'economia non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi (2008), uno scenario perfetto per il partito della Protezione. Le cose sono andate come sapete, il Movimento è stato travolto da un cataclisma, le aspettative sono sfumate, i voti sono evaporati, i sardi hanno deciso di prendere una strada diversa rispetto a quella del 4 marzo 2018. Si chiama volatilità del consenso e si sposa perfettamente con i social, la velocità e compressione dei tempi della politica e dell'informazione.

A Palazzo Chigi sono stati colpiti da un asteroide, ma nessuno è stato sbalzato fuori dalla cabina di pilotaggio, il governo andrà avanti perché non c'è alcuna alternativa - la sinistra di Massimo Zedda non ha fatto il miracolo, il rilancio del Pd non c'è - Matteo Salvini e Luigi Di Maio continuano la navigazione insieme perché sono immersi inesorabilmente nella classica dimensione del "prigioniero libero", per loro non c'è un altro format di governo disponibile. Nessuna via di fuga.

Il reddito di cittadinanza non fa vincere le elezioni e neppure conquistare il podio del primo partito. Lezione sarda. Questo certifica che nell'Isola è cominciato il conflitto tra Produzione e Protezione, lo vedremo moltiplicarsi altrove. È su questa linea che si gioca in realtà il futuro dell'esecutivo di Giuseppe Conte. La domanda sul taccuino è quella del compagno Lenin: che fare?

Il fare è dettato dallo scenario economico, i primi dati sulla produzione della fine del 2018 e dell'inizio del 2019 indicano una gelata della crescita. Per il Movimento Cinque Stelle può non essere un problema (non ha una base tra i ceti produttivi), ma per la Lega questo è un tema incandescente. Salvini ha spostato il problema della Tav a data da destinarsi, ma il tema è serio.

Il centrodestra conquista la Sardegna. È un'affermazione di coalizione e un po' meno di Salvini. Anche per lui dall'Isola sono arrivati dei segnali da cogliere. Eccesso di confidenza, sovraesposizione, la copertura dello spazio di comunicazione che doveva essere di Solinas, una trattativa con i pastori condotta alla Salvini, surfando in superficie, senza immergersi nei problemi. La piazza era piena, l'urna meno.

E ora? Siamo al giro di boa, il voto in Sardegna è già archiviato, all'orizzonte si profila il voto per l'Europa, a fine maggio, là vedremo probabilmente un Movimento Cinque Stelle diverso e la Lega che dovrà decidere cosa scegliere per il suo futuro. La domanda è facile: Produzione o Protezione? I sardi hanno già fatto la loro scelta ed è stata chiara.

Mario Sechi

(Direttore di "List")
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