Mancano ormai poche settimane al 24 febbraio, giorno in cui circa 1,4 milioni di sardi saranno chiamati ad eleggere il nuovo Governatore e i 59 onorevoli della sedicesima legislatura regionale. Con il loro voto potranno quindi indicare a chi affidare la responsabilità politica di portar fuori la Sardegna dal pantano recessivo in cui purtroppo si trova, e di guidarla verso un'auspicata e decisa ripresa. Non sarà una scelta facile, anche perché dai candidati e dalle coalizioni politiche in campo non si ricavano delle indicazioni sufficientemente chiare sui loro propositi di governo.

Può essere quindi utile suggerire due o tre problemi che paiono essere fra i più scottanti, e su cui si vorrebbe poter effettuare una valutazione delle indicazioni proposte, in modo da poter esprimere un voto responsabile.

Si pensi innanzitutto alla ripresa delle attività economiche ed agli strumenti che la determinano. Cioè alle imprese ed alla loro capacità di creare lavoro. Da una ventina d'anni a questa parte si è ancora più accentuato il loro nanismo, cioè la loro propensione alla semplice sopravvivenza, tirando i remi in barca, come si suole dire. Costrette a questo dalle evidenti cadute di domanda del mercato, dalle crescenti difficoltà nell'accesso al credito e dalla propensione atavica nel volerne tenere il controllo entro un solo cerchio familiare.

Ci sono dei casi emblematici di queste retromarce anche nei settori oggi più diffusi, come quello delle costruzioni.

Attualmente vi operano una decina di migliaia di imprese che, con un'occupazione di poco più di 30 mila addetti, ne confermano l'esasperato nanismo (solo una decina denunciano ricavi milionari). Il riscontro lo si ha nei grandi e medi appalti pubblici, oggi quasi totalmente in mano ad imprese forestiere, con quelle locali utilizzate come semplici esecutrici in regime di subappalto e spesso sfruttate con contratti da strozzo.

Una triste condizione di sfruttamento che sa di "colonialismo imprenditoriale", per citare il parere di un noto economista. Per rimuoverlo ci si augura che la Regione del post-elezioni intenda predisporre un'efficace riforma di struttura che s'impegni per predisporre dei supporti ottimali - in conoscenze, in infrastrutture reali e in appoggi finanziari - per far sì che le nostre microimprese possano crescere, sia patrimonialmente che nei volumi degli affari e dell'occupazione. Anche attraverso la predisposizione di facilitazioni nelle disponibilità di capitali e nella fusione ed integrazione fra imprese.

Ancora. Nell'agenda dei nuovi governanti dovrebbe trovare posto conseguentemente anche una decisa riforma della lenta e macchinosa burocrazia regionale. Alla quale si dovrebbero dedicare opportune revisioni operative in modo da ottenere maggiore snellezza, più efficace decisionismo e minor lentezza nell'operatività amministrativa: attualmente, per rendere fattibile un investimento industriale in Sardegna si stima occorra oltre un terzo in più del tempo occorrente nel Veneto e in Piemonte. Eppure i dipendenti regionali in Sardegna sono assai più numerosi che in quelle due regioni: 40-43 contro i 31-34 ogni 10 mila abitanti!

Un' altra importante riforma da affrontare riguarderebbe, a nostro avviso, il piano paesaggistico (il cosiddetto PPR del 2004). Si ritiene necessario effettuarne un'attenta revisione di controllo, in modo da correggerne taluni aspetti, divenuti fortemente ostativi ad ogni possibilità di sviluppo. In modo da poter dare "cum judicio" una valorizzazione antropica al territorio isolano, nel rispetto delle sue valenze originali ed evitandone così una sua indiscriminata e penalizzante intangibilità.

Andrebbe così corretto lo stesso concetto di sostenibilità ambientale che nel PPR si è limitato ad imporre una ferrea rigidità di vincoli e divieti, prima ancora che regolamentare l'utilizzo del territorio in termini rispettosi delle sue esigenze di sostenibilità nello sviluppo. Si tratterebbe quindi di dover eliminare le gravi criticità emerse in sede attuativa (dall'adozione del PPR in avanti le attività edilizie isolane si sono più che dimezzate, con una caduta d'occupazione tra il 55 ed il 58 per cento). Ricercando tra l'altro un'efficace omologazione tra la disciplina paesaggistica e quella urbanistica, finora risultata inattuabile.

Cosa ci si attende dunque dalle elezioni del 24 febbraio? Un impegno dei nuovi governanti per un piano di interventi mirati alla crescita che nei 5 anni della legislatura punti ad incrementare decisamente il prodotto interno lordo ed a riportare così il tasso di disoccupazione sotto la decina. Affrontare e risolvere le tre emergenze appena ricordate andrebbe proprio in questa direzione.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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