Andrea Casula frequentava la quarta elementare, la sua passione era il calcio. Giocava coi Pulcini della scuola di Gigi Riva. Ed era tifoso della Juventus. A scuola era bravissimo e Giovanni, il padre, gli aveva fatto un regalo e una promessa. Il primo: la finale della Coppa dei campioni a Bruxelles. La seconda: un nuovo computer dopo l'ammissione alla quinta. Ma il regalo si è trasformato in tragedia e la promessa è rimasta tale. Sono morti insieme, allo stadio Heysel, prima della partita tra la Juventus e il Liverpol. Trentanove vittime, tra queste Mario Spanu, un emigrato di Perfugas, e Barbara Lusci di Domusnovas, e 600 feriti. Era il 29 maggio 1985.

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L'inimmaginabile è accaduto nella curva riservata ai Dannati rossi, sostenitori del Liverpool: la partita stava per iniziare e il massacro è andato in diretta nelle tv di tutta Europa già collegate. La violenza era scattata all'improvviso. Una rete metallica separava i tifosi italiani, nella curva X, da quelli inglesi, nella curva Y. Tra questi gli Hooligans, la frangia violenta del tifo britannico. E proprio questi, con una logica ispirata a una tecnica di guerriglia urbana, erano partiti all'attacco prima del fischio d'inizio. Volavano lattine, bottiglie, sassi, razzi. La parete divisoria non poteva contenere la furia di decine di ubriachi e in pochi minuti non c'era più. Gli italiani indietreggiavano mentre gli altri avanzavano con ferocia. Non c'era via di fuga: un muro separava le curve dalle tribune. Sotto la spinta e il peso di tanta gente era crollato schiacciando decine di persone.

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Molti cercavano rifugio verso il campo di gioco dopo aver buttato giù un'altra barriera metallica. Quella che si riversava sul campo era una folla impressionante di persone in fuga dalla morte. Uomini, donne, ragazzi e bambini scappavano urlando e piangendo mentre decine di persone finivano calpestate dalla folla o addirittura impigliate senza scampo nella rete metallica.

Testimonianze agghiaccianti: "Ho visto un buco che si era aperto nell'inferriata a ridosso della pista intorno al campo. La gente usciva svelta, poi all'improvviso è crollato tutto. Un disastro. Un terremoto. Davanti a me ho visto gente stesa, impossibilitata a muoversi. Si camminava sulla gente, come su un campo di cadaveri".

La tragedia nelle cronache de L'Unione Sarda
La tragedia nelle cronache de L'Unione Sarda
La tragedia nelle cronache de L'Unione Sarda

Quando i rinforzi della polizia erano entrati in azione era decisamente tardi anche se erano arrivati perfino i paracadutisti. Si legge su L'Unione Sarda del giorno successivo: "Gendarmi e poliziotti partono alla conquista della curva Y invasa delle orde dei Reds. Avanzano e indietreggiano. Pestano e sono colpiti. Ma finalmente riescono a mettersi in fila per due lungo le gradinate e a mandare indietro i Reds. Ma c'è chi fa di più e di male. Perché una compagnia si schiera di fronte alla maledetta rete metallica che gli juventini hanno abbattuto per trovare una via di scampo. Ce ne sono ancora un migliaio che vorrebbero trovare pace sul campo, terrorizzati dalla paura. E loro cominciano a pestare anche questi. L'armata a cavallo, intanto, se ne va verso i Reds quasi a cercare lo scontro o almeno la provocazione. Ed è a questo punto che sul fronte opposto interamente occupato dalla tifoseria bianconera non se ne può più. Crolla la rete metallica e un centinaio di juventini si lancia all'attacco, corre disperatamente verso la curva degli inglesi, attraversando il campo con la bandiera italiana e tante bianconere. La gente scappa dove può e la polizia sbanda, non sa più cosa fare. Fuori il suono lugubre delle sirene. Si contano i morti e i feriti di una giornata che doveva essere di festa. Reds animal: dice uno striscione bianconero. Forse era più giusto parlare di criminali".

Andrea era partito col padre, dirigente della Cosmin, il giorno precedente alla partita. Martedì. Erano rimasti un giorno a Milano in giro per negozi di giochi elettronici. Poi avevano preso il volo charter organizzato da Antalya organizzato per i tifosi diretti in Belgio. Erano andati allo stadio e da quel momento le notizie si interrompono. All'epoca non c'erano i telefonini. C'erano però le immagini in diretta televisiva.

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"Nella bella casa di via Della Pineta", scrive L'unione Sarda dopo la tragedia, "l'angoscia ha avuto inizio alle prime sconcertanti immagini trasmesse in tv. Più tardi le telefonate concitate del ministero degli Esteri danno la tragica conferma. Tra le vittime c'è anche Giovanni che tutti conoscevano come Cicci. Del bambino non si sa niente. La speranza di non vedere il suo nome vicino a quello del padre si sposa con l'angoscia di saperlo solo, disperso in un grande stadio di sangue e violenza. Le telefonate al ministero e all'ambasciata italiana in Belgio si fanno frenetiche. Poi verso le due di notte la nuova tragica notizia. Andrea è nell'elenco dei morti. L'annuncio viene dato alla famiglia da un amico che lavora all'ambasciata. Nel frattempo alcuni parenti si sono recati in questura per conferme o smentite. Ancora un frenetico contatto telefonico questa volta col ministro degli Interni e poi la fine di ogni speranza. Andrea è tra le vittime". La finale si era giocata: motivi di ordine pubblico. Partita surreale con una parte dello stadio transennata e completamente vuota davanti alle macerie del crollo e agli oggetti abbandonati dai tifosi italiani in fuga. La Coppa era stata addirittura assegnata: aveva vinto la Juventus, uno a zero con gol su rigore di Platini. Ammesso che a qualcuno, ora come allora, importi il risultato.

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