È stata presentata oggi la quindicesima edizione del Rapporto Migrantes sugli Italiani all'estero. Il progetto editoriale e culturale della Chiesa italiana che esamina i dati sugli spostamenti dei nostri connazionali fuori dal Paese ma anche la presenza degli stranieri in Italia.

Il fenomeno migratorio, viene riconfermato, non si arresta. Alcune delle sue caratteristiche cambiano, per esempio mentre fino a una decina di anni fa erano soprattutto gli uomini a partire, ora sono sempre più anche le donne. Altre restano immutate: a subire lo spopolamento sono soprattutto le regioni del sud.

All'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero, sono 5,5 milioni gli iscritti a fronte dei 3,1 milioni del 2006. Tra il gennaio e il dicembre 2019, 131mila italiani hanno raggiunto altri Stati.

Sono sempre più qualificati dal punto di vista dello studio (in gran parte sono diplomati) e cercano un lavoro anche di tipo generico.

Se nel 2006, stando ai dati Istat, il 68,4% dei residenti ufficiali all'estero aveva un titolo di studio basso - licenza media o elementare o addirittura nessun titolo - il 31,6% era in possesso di un titolo medio alto (diploma, laurea o dottorato).

Dal 2006 al 2018 la formazione e la scolarizzazione della popolazione italiana residente oltreconfine sono cresciute: nel 2018, infatti, il 29,4% è laureato o dottorato e il 29,5% è diplomato mentre il 41,5% è ancora in possesso di un titolo di studio basso o non ha titolo.

Tra i sessanta autori circa che hanno preso parte alla stesura del Rapporto della Fondazione Migrantes, c'è anche Marisa Fois. Originaria di Busachi, lavora all'Università di Ginevra con un dottorato che riguarda l'Africa del Nord.

Il suo contributo, incentrato sempre sull'Italia della mobilità, ha curato quelle che possono essere le aree geografiche interne più fragili della Sardegna partendo dalla "vecchia emigrazione", passando per le nuove mobilità e poi esaminando gli ultimi 15 anni.

Secondo uno studio commissionato dal centro regionale di programmazione del 2006, "l'indice di stato di malessere demografico - spiega Marisa Fois - ha permesso di evidenziare alcune delle caratteristiche dei paesi in via di desertificazione". Si tratta in genere di Comuni con meno di 3mila abitanti, abbastanza distanti dai centri urbani e che si trovano in montagna o collina interna, raramente sulle coste.

Lo stesso studio è stato poi aggiornato nel 2013 e dai quei dati sono emerse altre informazioni sull'Isola: "31 paesi rischiano di scomparire nei prossimi decenni". Una buona parte di questi si trova nell'Oristanese. "Una provincia relativamente giovane, istituita nel 1974 e poi ampliata nel 2011, che presenta un alto indice di vecchiaia e con una forte tendenza al fenomeno migratorio", prosegue Fois.

Ma c'è di più: "Dal 2019 il Rapporto Italiani nel Mondo propone la graduatoria dei primi 25 Comuni per incidenza migratoria e scorrendo la lista non sorprende che, nel 2020, ben 7 territori in provincia di Oristano si trovino nelle prime dieci posizioni con una percentuale superiore al 43 per cento. Sono Bidonì, Senis, Montresta, Sagama, Sennariolo, Suni e Sorradile".

Ad accogliere gli emigrati, così come negli anni Settanta, sono soprattutto Germania, Francia, Belgio, Regno Unito, Paesi Bassi, Svizzera. E ci sono anche tanti oristanesi che raggiungono invece l'Africa del Nord. Tra le storie raccolte da Marisa Fois c'è quella di Andrea Zucca, quarantenne di Busachi: "Nel corso degli anni della formazione universitaria ha viaggiato tra Siena, Barcellona, Milano. Poi per lavoro è stato in numerosi Paesi del mondo fino a stabilirsi in Perù, poi Venezuela, Brasile, Angola. Nel frattempo si è sposato con una ragazza peruviana e sono nate due gemelle. Alla fine di quest'anno tornerà a Milano ma tutte le sue esperienze non gli hanno comunque consentito di tornare in Sardegna, terra con la quale ha un legame molto forte".

La sua esperienza dimostra che "alla fine non è sempre la volontà che conta, con il suo curriculum avrebbe preferito tornare nella sua terra anche con uno stipendio più basso ma in qualche modo ha dovuto rinunciare perché, per semplificare, è 'troppo titolato'". Eppure quella sorta di cordone ombelicale con la Sardegna non si è in realtà mai spezzato, "tanto che se ai suoi figli viene chiesto di dove sono, pur non essendoci mai stati, rispondono: 'siamo sardi di Busachi!'. Ed è questo che Andrea ha sempre voluto: trasmettere loro un senso di radici".

Nello studio di Marisa Fois si parla anche della realtà di Asuni, piccolo borgo da poco più di 300 abitanti il cui volto è stato fortemente modificato dall'emigrazione. Dal 2002 ospita inoltre il Centro documentazione delle culture migranti con anche un archivio dell'emigrazione storica diviso in due sezioni: "Una dalla prima metà dell'Ottocento al 1925, l'altra dedicata al flusso in Uruguay dalla metà del XIX secolo fino al Secondo dopoguerra".

Tutto il percorso documentale seguito da Fois serve a mettere in luce alcuni punti: "Per esempio il fatto che la mobilità vada intesa non solo in modo negativo ma anche come ricchezza. Quella che si cerca quando si parte e quella che si riporta indietro quando, se si riesce, si torna indietro per mettere la propria esperienza a disposizione della comunità anche nel tessuto economico".

E in periodo di emergenza coronavirus, proprio il lockdown ci ha insegnato qualcosa: "Ci ha fatto capire l'importanza della libertà di movimento - conclude Marisa Fois -, ci ha dimostrato dell'erroneità di una nostra profonda convinzione, ossia che il nostro passaporto italiano ci aprisse molte porte. Ora siamo passati dall'"altra parte", per dirla in modo semplice. Quelle frontiere che noi stessi abbiamo creato ci si sono chiuse contro. In Svizzera, dove vivo, per esempio, per chi arriva dalla Sardegna sono previsti 10 giorni di quarantena". L'Isola è infatti considerata dal governo elvetico una delle "regioni rosse".
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