Addio a Narciso Cocco, padre di Tiziano, il giovane camionista ucciso 13 anni fa in quello che la cronaca ha battezzato come il duplice, barbaro, delitto del pozzo di Manasuddas: dal nome della caserma abbandonata dove si consumò l'agonia del giovane. Rapinato di pochi spiccioli, afferrato mani e piedi e scaraventato ancora vivo nel pozzo dove qualche giorno prima era stata gettata una donna di Oliena, Pietrina Mastrone. Narciso Cocco se n'è andato a 82 anni, a otto anni dalla morte della moglie Assunta Lecis.

Il delitto

Tiziano Cocco, dipendente di una ditta di trasporti di Gonnosfanadiga, appassionato di musica, suonatore di chitarra, all'alba del 25 ottobre 2007 ebbe la sventura di incrociare il suo destino con quello di tre malviventi olianesi: Mauro Mele, Sebastiano Pompita e Mario Deiana (tutti condannati al carcere a vita) che si bagnarono di sangue per qualche cassetta di frutta e non più di cinque euro. La somma, questa, che il ragazzo di Samassi aveva in tasca e che aveva chiesto alla madre Assunta poco prima di mettersi al volante del camion carico di frutta e verdura da distribuire nei market della Barbagia. «La vita di mio figlio vale davvero poco», era stato il grido, l'ultimo dopo la sua scomparsa, che Narciso Cocco aveva affidato alle pagine de L'Unione Sarda solo qualche anno fa. «Non si è mai risparmiato per avere giustizia, risposte, pace», è il ricordo che il consigliere comunale Giorgio Mancosu offre di lui.

Il processo

Provato da oltre dieci anni di battaglie in cerca di giustizia per la morte del figlio, il pensionato aveva ormai smesso di lottare: abbattuto definitivamente dalla morte nel sonno della moglie. Assunta Lecis, serrentese di poche parole, finì col chiudersi nel silenzio dopo l'omicidio di Tiziano. Marito e moglie non persero neppure un'udienza dei processi celebrati nel tribunale di Nuoro. «Quei tre criminali hanno ucciso mio figlio senza pietà e meritano di marcire in carcere tutta la vita», è una delle frasi pronunciate da Narciso Cocco e dalla moglie Assunta durante gli anni in cui si dedicarono a seguire la vicenda giudiziaria. «Sto perdendo la fiducia nella giustizia, Tiziano non ce lo renderà mai nessuno, ma anche mia moglie è morta per il dolore: quelli hanno distrutto la mia famiglia», era stato il suo sfogo quando uno dei tre assassini, Mario Deiana, venne scarcerato prima dell'ultimo grado di giudizio, perché ritenuto socialmente non pericoloso. «Mia moglie Assunta è morta nel sonno, ha fatto un respiro più lungo è se n'è andata fra le mie braccia», è un altro fotogramma del calvario della famiglia Cocco, quando la donna si arrese al dolore per il suo Tiziano che, ripeteva, «dal fondo del pozzo deve avermi chiamata e chiesto di aiutarlo, ma io non c'ero». Un pensiero divenuto ossessione, che riecheggiava nelle notti insonni trascorse a ripensare al loro ragazzo imprigionato per sempre in fondo al pozzo.

Ignazio Pillosu

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