L’Italia intera ha atteso il voto per il rinnovo del consiglio regionale in Umbria con grande trepidazione e curiosità. Poi il 27 ottobre è arrivato, è trascorso, e ha certamente portato con sé un’ondata di novità nella direzione della politica regionale locale.

Infatti, dopo ben 49 anni di dominio della sinistra e/o centrosinistra, il "centrodestra unito", come a taluni piace ancora romanticamente chiamarlo, è riuscito ad espugnare una delle più importanti roccaforti rosse d’Italia. Ma questo risultato è davvero così importante a livello nazionale con riferimento alla tenuta del governo giallorosso o, invece, resterà circoscritto all’Umbria? Davvero può costituire un "avviso di sfratto" per l’attuale maggioranza parlamentare? Il Partito Democratico può dirsi definitivamente affogato a causa di una alleanza innaturale col M5S? E Giuseppe Conte è veramente arrivato al capolinea della sua esperienza politica?

L’ex ministro dell’Interno, o meglio la sua Lega, che ha trionfato col 36,95% circa delle preferenze, ponendosi nettamente al di sopra degli alleati ancorati rispettivamente a un 10,40% per FdI e un 5,5% circa per FI, così vorrebbe, ma credo, senza voler affatto sminuire il risultato, che la realtà sia altra e diversa, sia per quanto concerne la tenuta della stessa coalizione di centrodestra, unita, sembrerebbe, più per dovere che per piacere, considerata pure la disparità abissale dei risultati raggiunti dai suoi componenti, sia per quanto riguarda la futura tenuta dell’esecutivo in carica e del suo ambizioso premier.

Intanto, perché il Partito Democratico, nonostante la scissione a tradimento provocata da Renzi, ha comunque resistito alla prova delle urne con un personale 22,33%, superiore di gran lunga al risultato perseguito tanto da Fratelli d’Italia, comunque cresciuta nelle preferenze, che da Forza Italia, praticamente non pervenuta alla pari, quasi, del M5S attestatosi al 7,41%. Quindi, perché, diversamente da quanto molti ritengono, e Salvini per primo, l’alleanza PD - M5S è assai meno innaturale di quella precedente tra pentastellati e Lega, i quali per 14 mesi, anche con i continui e durissimi attacchi al movimento perpetrati dal padano in campagna elettorale, sono riusciti addirittura a convivere con disinvoltura nonostante l’insormontabile diversità ideologica, tenuti insieme solamente, ma inossidabilmente, dall’amore per la poltrona che portò peraltro lo stesso ex capitano leghista ad offrire il premierato a Di Maio dopo i fatti del Papeete Beach solo per non perdere il suo bel ministero.

Inoltre, perché, più che pesare negativamente sulla tenuta dell’attuale governo, il risultato in Umbria, condizionato in maniera prevalente dalla antipatica ma inevitabile manovra, servirà alla coalizione di centrosinistra, e soprattutto al PD, piuttosto sensibile nei confronti del sentire comune, per riorganizzare le proprie file e la propria struttura interna quantomeno per tenere saldo l’indice di gradimento e proseguire con determinazione nell’esperienza giallorossa a trazione Conte bis. Poi, perché, di conseguenza, il crollo dei 5 Stelle, lungi dal potersi attribuire alla nuova alleanza, è dipeso, ma da tempo oramai, dal suo essersi trasformato in un partito istituzionale e istituzionalizzato al pari di quelli che diceva di voler contestare, tradendo mortalmente il proprio elettorato che chiedeva un cambiamento radicale dell’assetto politico italiano con lo smembramento delle tanto vituperate tradizionali classi dirigenti.

Ancora, perché, sempre diversamente da quanto in tanti vorrebbero, l’esperienza politica del premier Conte è tutt’altro che arrivata al capolinea giacché potranno pure cambiare gli assetti di potere, ma oramai il professore di Diritto Privato, sempre attento a studiare per bene i movimenti e gli umori tanto dei suoi alleati che dei suoi competitor con la sua naturale eleganza e incontestabile aplomb, ha già dimostrato di sapere sfoderare i suoi graffianti artigli al momento opportuno riuscendo ad imporsi addirittura sull’avversario: Salvini ne sa qualcosa. E poi, perché, presto o tardi, casomai non si fosse capito, il nostro premier scenderà in campo come leader di partito, che non sarà, io credo, il M5S, antipolitico e plebiscitario/populista, quindi assai lontano dalla sua formazione ideologica e culturale, quanto piuttosto un rinnovato (se saprà reinventarsi) PD di stampo moderato a inflessione liberale capace di rifagocitare l’esodato Matteo Uno, che da solo varrebbe come il due di picche, e quella larga parte di elettorato centrista indeciso e incapace di riconoscersi in partiti identitari ed estremisti, quali la Lega, o sovranisti, come FdI, e che ancora attende la rinascita di una forza politica in cui trovare espressione e che FI, pur essendo stata gloriosamente tale, ad oggi, stando alle urne, non riesce più a rappresentare.

Infine, perché, lo stesso attuale centrodestra, sarebbe meglio dire destra, potrebbe non essere tale nel prossimo futuro, non fosse altro perché l’invito della Meloni ai suoi alleati, ma si intenda al leghista, a sottoscrivere il patto anti inciucio sembra essere rimasto pericolosamente allo stato di lettera morta con tutto ciò che potrebbe conseguirne in funzione e in ragione dell’opportunità politica del momento.

Ciò che realmente è emerso da queste urne umbre è non solo il cambio di passo, quasi fisiologico dopo 49 anni, della leadership regionale, ma anche la personale "debacle" di FI che, tuttavia, potrebbe ancora ritrovare il suo peso politico se solo riuscisse a smarcarsi coraggiosamente dalla Lega per riprendere quel progetto ambizioso chiamato "Altra Italia" che, in un prossimo futuro, potrebbe addirittura riuscire a porsi come determinante sugli equilibri politici nazionali. Per ora nihil novi sub sole.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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