Se avrete voglia di fare la pipì, vi capiterà di entrare nel più metropolitano bagno di un museo: messaggi, promesse d'amore, cellulari da chiamare, indirizzi da scambiarsi, massime sull'esistenza umana, microscopiche prove d'artista, firme in calce accendono le pareti di mille e un colore. Un fantastico, affollatissimo trionfo di segni in pochi metri quadri, così fitto da disorientare e rendere persino complicato trovare l'icona giusta per l'ingresso uomo/ donna.

Ma l'Urban Nation Museum for Urban Contemporary Art di Berlino, che celebra l'arte urbana, il graffito trasgressivo, il segno beffardo lasciato in uno spazio condiviso come la facciata di un palazzo, un palo della luce, una stazione di metropolitana, un vagone di treno, non poteva non rispettare questa filosofia in ogni suo ambiente, toilette compresa. Di primo acchitto può suonare come una contraddizione, un ossimoro, l'istitituzionalizzazione di un'arte ribelle, provocatoria, fuori legge. Però l'ambiente di Bülowstraße, 7, nel quartiere di Schöneberg, altro non è che un punto di approdo per gli artisti di tutto il mondo, mai definitivo, proprio come comanda l'anima della Street Art, destinata sempre a cambiare pelle per mano d'artista o per le offese del tempo. Dunque Urban Nation Museum è specie di passo (fisico) intorno al quesito che da anni coinvolge il mondo della Street Art: effimera per definizione, nata all'aria aperta, trasgressiva, deve, può essere rinchiusa dentro quattro mura? E siccome non c'è una risposta che metta tutti d'accordo, val la pena di divertirsi scoprendo che cosa ruota intorno all'idea e provare a capire come la Street Art, con questa operazione, in fondo celebri sé stessa.

Come se questa disciplina sfacciata e senza regole, avesse bisogno di un soccorso per continuare a vivere sia pure attraverso un film o un'immagine. La strada per arrivarci è già un invito. I palazzi della Bülowstraße, divisa da binari sopraelevati della metropolitana, sono uno dei più colorati e fantasiosi teatri di arte urbana (Berlino ha una grande tradizione di muralismo, un esempio su tutti, il Muro dalla parte occidentale, ancora oggi visibile nell'East Side Gallery). È qui che lo scorso settembre si è tenuta la Urban Nation Biennale 2019, una gigantesca galleria sotto il cielo, in cui il passante diventa spettatore. Ecco occhi che ammiccano tra una finestra e l'altra, animali che sbucano da ingressi, umani poco umani, piante con radici avvilupanti, denunce contro le ingiustizie. Promesse di felicità.

Il museo (ufficialmente inaugurato nel settembre del 2017, ingresso gratuito dal giovedì al sabato) è al numero 7 di un vecchio palazzo d'angolo del XIX secolo. La facciata è già una sorta di tela, di volta in volta mutata dagli spray e dai colori di street artist più o meno noti. Chi ci va ora vedrà un grande sogno a occhi aperti, poetico, uno spazio cosmico popolato da nebulose, comete e galassie, splendenti anche con la luce del giorno. L'opera è dell'artista argentina Marina Zumi che a Berlino ha trovato la giusta base. Oltre ai lavori di vari artisti, il museo ospita una biblioteca con libri e foto donati da Martha Cooper, storica fotografa americana che dagli anni Settanta a oggi ha documentato la nascita e l'evoluzione della cultura underground e della Street Art di New York. E non potrà che essere la fotografia o un filmato a salvare questa forma d'arte sempre suscettibile di cambiamento o scomparsa, riunita sotto lo slogan "All nations under one roof". Il progetto altro non è che un'evoluzione dell'iniziativa della Berlino Urban Nation, l'associazione che dal 2013 chiama a raccolta nella capitale tedesca artisti di tutto il mondo. La direttrice è Yasha Young, ex gallerista che ha aperto il museo con un programma di residenza che ogni anno sostiene una trentina di giovani talenti. Graffiti, installazioni e murales coloratissimi illuminati da una luce soffusa segnano bene il contrasto con pareti e pavimenti scuri: nessuna numerazione di sale, ognuno si muove come crede, seguendo istinto e curiosità. Una scala con colori fluorescenti porta al piano superiore dove una passerella consente di apprezzare le opere da un insolito angolo visuale, più vicino a quello di chi scala pareti urbane per lasciarsi il suo segno di colore.
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