Il 4 novembre di un secolo fa terminava per l'Italia la Grande Guerra.

Sui fronti italiani finalmente i cannoni e le mitragliatrici tacquero e per i soldati cominciò il ritorno a casa. Il bilancio era però terribile perché quel conflitto era stato grande nel senso peggiore del termine: grande per le sofferenze, per le perdite umane, per il disastro materiale e morale che aveva provocato. Solo per rimanere ai freddi numeri il nostro Paese aveva avuto circa 650mila morti e due milioni e mezzo di feriti e la guerra era costata alle casse dello Stato una cifra pari a 64 miliardi di euro attuali. Uno sproposito.

In quella immane catastrofe, confusi tra gli oltre sei milioni di italiani chiamati alle armi, vi fu chi scelse di raccontare la guerra con la poesia. Tra questi poeti in armi vi erano infatti alcuni dei nostri maggiori scrittori del Novecento come Ungaretti, Saba, Gadda, Rebora, Sbarbaro, D'Annunzio, Marinetti, Gozzano, Campana e Zanzotto assieme ad altri molto meno noti ma che ci hanno lasciato un ricco patrimonio in versi.

Questo patrimonio oggi lo ritroviamo in "Le notti chiare erano tutte un'alba" (Bompiani, 2018, pp. 800), antologia che prende il titolo da un verso di Eugenio Montale e che riunisce centotrenta poesie di sessantasette autori che hanno voluto raccontarci la loro Grande Guerra. A curare la raccolta Andrea Cortellessa, docente di Letteratura italiana contemporanea all'Università di Roma Tre, che accompagna i componimenti poetici con un ricco e interessantissimo apparato critico che ci permette di entrare in profondità nell'animo e nella poetica di questi scrittori soldati.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Ma che tipo di esperienza fu la Grande Guerra per questi poeti, nella maggior parte dei casi giovani, se non giovanissimi, quando erano al fronte? Lo chiediamo proprio ad Andrea Cortellessa:

"Ognuno di questi poeti ha naturalmente un proprio percorso personale. Però esistono degli elementi comuni alla maggior parte di essi. Inizialmente quasi per tutti il primo conflitto mondiale fu una ‘guerra farmaco’, l'occasione per risolvere problemi personali oppure per trovare una soluzione alle questioni storiche dell'Italia. La maggior parte di questi poeti cambiarono idea durante la guerra e solo pochi rimasero fedeli alle loro idee iniziali. Quello che colpisce è come il cambiamento, una vera e propria conversione per molti di loro, sia stata rapida. Solitamente si cambia tanto dopo un lungo e lento cammino mentre la guerra affrettò tutto".

Questa antologia esce, riveduta e accresciuta con l'aggiunta di nuovi autori, a distanza di vent'anni dalla prima edizione. Che cosa è cambiato rispetto a un ventennio fa?

"Il primo cambiamento, come ha detto, è la presenza di nuovi poeti, tra cui una donna, Ada Negri. In questi vent'anni una delle novità negli studi sulla Grande guerra è stata proprio l'attenzione per la presenza femminile nel conflitto e questo mi ha spinto a ricercare uno sguardo poetico femminile. Quello che però è cambiato di più in questi due decenni è il modo di approcciarsi alla guerra nella nostra società".

Come è mutato lo sguardo nei confronti della guerra?

"Alla fine dell'edizione degli anni Novanta professavo la convinzione che la Grande Guerra e in generale i conflitti del Novecento avessero lasciato un insegnamento impossibile da dimenticare. Ci avessero in un certo senso allontanato per sempre dalla tentazione di risolvere i problemi con la violenza contro gli altri e anche contro noi stessi perché i poeti che compongono l'antologia seguirono una grande illusione e da quella illusione furono crudelmente feriti. Pensavo, un ventennio fa, che l'illusione della 'guerra farmaco' fosse sepolta per sempre. I fatti mi hanno dato torto e probabilmente, come ha detto papa Francesco nel 2014, siamo nel pieno di una Terza guerra mondiale a frammenti. Soprattutto la guerra è ritornata a essere considerata un'opzione percorribile. Insomma, pensavo che l'insegnamento della storia fosse per sempre ma non è così".

Prima abbiamo parlato della presenza di una voce femminile nella antologia, quella di Ada Negri. Che tipo di testimonianza ci offre la sua poesia?

"Ada Negri è stata popolarissima tra le due guerre e oggi è studiata e apprezzata come una scrittrice protofemminista per i suoi lavori a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del Novecento. Nelle sue poesie sulla Grande guerra, però, ripropone la figura della donna che assiste i feriti, una donna in posizione vicaria rispetto all'uomo, la donna crocerossina. Insomma, i versi della Negri rientrano nell'ambito della tradizionale immagine delle donne all’interno del conflitto. Quello che nelle mie ricerche non ho trovato sono stati componimenti femminili che parlassero del nuovo ruolo che le donne stavano assumendo nella società, sostituendo nelle più varie attività gli uomini. Lo ritrovo invece in un componimento maschile, una poesia di Lorenzo Montano dedicata alla figura di una tramviera".

Uno dei nuovi poeti della raccolta è il sassarese Annunzio Cervi, morto a poco più di 25 anni sull'altipiano di Asiago a pochi giorni dalla fine della guerra. Perché la scelta di inserire questo poeta?

"Cervi faceva parte della raccolta dei poeti morti in guerra pubblicata, a fini propagandistici, in epoca fascista. In quell'epoca venne presentato in maniera molto retorica come un martire. La sua figura è rimasta così imbalsamata in questa immagine di caduto per la patria. Le poesie di questo giovanissimo autore, rilette nella versione originale, sono discontinue però hanno momenti straordinari. In Cervi, eliminata la maschera del martire, appaiono interamente presenti le tensioni che lacerarono la maggior parte dei partecipanti alla Grande Guerra".

Colpisce che tanti poeti abbiano raccontato il conflitto di cento anni fa. Come mai non si è avuta una produzione poetica tanto vasta per la Seconda guerra mondiale?

"Un filosofo come Walter Benjamin, negli anni Trenta del secolo scorso, ha scritto che i reduci della Grande guerra erano rimasti muti, non avevano potuto mettere in comune i loro ricordi e la loro memoria perché la Prima guerra mondiale era stata troppo diversa dalle precedenti. Questo discorso vale ancora di più per la Seconda guerra mondiale, che è stata una seconda ferita che si è sovrapposta alla prima. Il secondo conflitto mondiale è stato un trauma così forte che non ha potuto esprimersi nell'immediato, ha avuto bisogno di tempo e di elaborazione. Se pensiamo alla tragedia della Shoah ci sono voluti dieci anni perché fosse possibile parlarne. Quando Primo Levi, poco dopo la fine della guerra, propose a Einaudi 'Se questo è un uomo' ottenne un netto rifiuto".

Roberto Roveda
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