“ S ergio Atzeni: a lonely man” è il titolo che il professor Giuseppe Marci scelse nel 1999 per il suo saggio dedicato alla vita e alle opere dello scrittore cagliaritano, prematuramente scomparso sul finire dell'estate del 1995.

«La tragica scomparsa aveva trasformato colui che fino a quel punto era stato uno scrittore le cui opere erano attese da una pattuglia formata qualche migliaio di affezionati lettori sparsi in tutto il territorio nazionale, in una sorta di figura-simbolo». Scriveva Marci in apertura di quel suo lavoro di ricerca, che è anche la testimonianza di un'amicizia e un punto di vista privilegiato per accedere al rompicapo emotivo incarnato da Sergio Atzeni. Non si parla, dunque, soltanto dei suoi romanzi: ma anche dei primi passi da pubblicista, della sfera personale e del suo carattere.

«Sono un hungry-lonely-melancholy man», scrisse Sergio Atzeni in una sua lettera-confessione indirizzata proprio Giuseppe Marci: considerato amico, punto di riferimento e figura stimata.

Tutto comincia negli anni Settanta, con la collaborazione alla redazione regionale dell'Unità e la stesura di un primo racconto intitolato Gli amori, le avventure e la morte di un elefante bianco, apparso sul numero 1737 del “Giallo Mondadori”. Seguirono, tante altre piccole cose. Fino all'insperato salto del 1986, quando la casa editrice Sellerio pubblicò il suo romanzo Apologo del giudice bandito dando il via a una carriera letteraria di pregio.

«Mi cerco le storie, non le invento», disse Sergio Atzeni, ambendo a raccontare tutta la Sardegna e lasciando che la lingua sarda intridesse le sue pagine. Ma, attenzione: non un sardo aulico, bensì una lingua non catalogata, né classificata in alcuna grammatica. Tanto che Giuseppe Marci sentì il dovere di “organizzarla” in una sorta di glossario ricco di termini quali “spullinca”, “purescia”, “scarescia” e “spuligato”.
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