“Il Mostro” spopola e il mistero ti incolla alla tv. Le serie Netflix scandaglia le ombre della pista sarda sul caso più oscuro della cronaca italiana: Salvatore Vinci era il mostro di Firenze? Capace di otto duplici omicidi? Esisteva una connessione “particolare” tra lui e la Firenze-bene? Risponde l’avvocata Rita Dedola. Lo difese, da praticante con l’avvocato Aldo Marongiu, lo assistì per il divorzio dalla seconda moglie. Poi lo perse di vista, oltre trent’anni fa.

Salvatore Vinci e la serie, mi dica.

«Innanzi tutto la serie rende giustizia a un bel ragazzo. Salvatore Vinci non era molto alto, era abbastanza tarchiato, aveva due grandi e metallici occhi azzurri. Si dava un tono da intellettuale, era ironico. E direi chiuso, più che riservato. Posso dire che ci andavo d’accordo».

Si è scritto molto sulle sue relazioni in certi ambienti…

«Ricordo che durante la detenzione di Vinci ricevemmo in studio con l’avvocato Marongiu una signora fiorentina, molto bella, di una certa età. Voleva conoscere la situazione di Vinci. Ci colpì. Era di una classe notevole. Chiedeva di “Salvatore”, si capiva che lui aveva una grande confidenza».

Nell’88 Vinci viene assolto dall’accusa di aver ucciso la moglie, Barbarina Steri, nel 1960 a Villacidro. La pista sarda partiva da lì e svanisce con quella sentenza. Ma il termine “mostro” pesa ancora.

«Da questo punto di vista è comunque un’ingiustizia. Vinci è stato assolto dall’uxoricidio. Dopo due anni di carcere. E tutte le altre congetture, chiamiamoli pure sospetti, sono rimaste tali».

Gli avvocati Marongiu e Madìa, che difesero Vinci, dissero che “la sua carcerazione fu strumentale per continuare e ottenere risultati nelle indagini”.

«È proprio così. Poi ci provarono una seconda volta. Luigi Lombardini, amico e collega di Pierluigi Vigna (all’epoca procuratore a Firenze, ndr) nel luglio ‘88 lo accusò di aver molestato un pastorello nelle campagne di Villacidro».

E quindi?

«Era un’asse con Firenze. Si cercava di interrogare Vinci e proseguire».

E lei lo difese, a pochi mesi dalla precedente assoluzione. Poi Vinci sparisce.

«Quando mi occupai del divorzio dalla seconda moglie, era il ‘93-’94, venne in studio a salutarmi e ringraziarmi. Era con una compagna spagnola, si chiamava Marisol. Mi disse “A Villacidro non voglio più tornare, voglio sparire. Questa etichetta mi ha rovinato la vita”».

Etichetta e presunte abitudini sessuali.

«Abbiamo letto tutti il famoso rapporto Torrisi sulla pista sarda (Nunziato Torrisi era il comandante del reparto operativo dei Carabinieri di Firenze, ndr). Io lo lessi come un romanzo. Descriveva Salvatore Vinci come una persona disinvolta sotto certi aspetti di carattere sessuale. Sospetti che hanno pesato».

Un sostegno alla pista sarda?

«Come la descrizione delle due donne. Barbarina Locci (prima vittima del mostro nel ’68 e amante di Vinci, ndr) e Barbarina Steri: quasi una curiosità morbosa sulle famiglie sarde in Toscana. Storie di amanti, il lessico utilizzato nel rapporto…».

Ovvero?

«Una descrizione truculenta, diciamo non ‘’tipica’’ dal punto di vista lessicale».

Salvatore Mannias, che interpreta Salvatore Vinci nella serie Netflix, ha detto all’Unione Sarda che “il vero mostro è il patriarcato”».

«Condivido. Si, dobbiamo cercare il mostro in noi stessi. La figura delle due povere donne, le due Barbarina: la serie ci fa capire quanto fossero prigioniere di quella situazione. E invece gli atti le hanno rappresentate come grandi manovratrici. Ma non manovravano nulla. Erano succubi di una cultura e di un clan familiare».

Ha più sentito Salvatore Vinci? Oggi avrebbe 90 anni.

«Mai più da quella visita in studio».

Dell’inchiesta, dei titoloni, di quella curiosità, che cosa resta?

«Molti hanno lavorato per scoprire che cosa fosse davvero accaduto. Ma non si è approfondito, c’è stata molta mitizzazione. Sono state indagini piene di pregiudizi e ideologicamente indirizzate. Quindi hanno tralasciato ciò che doveva servire per andare avanti in maniera seria e conclusiva».

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