Oggi più che mai sentiamo parlare di crisi climatica, ed anche rispetto ai problemi che incombono sul fronte geopolitico il tema della sopravvivenza sul nostro pianeta si fa ogni giorno più dibattuto. Non stupisce perciò che anche gli strumenti dell’arte suggeriscano un proprio sguardo critico sulla questione: un caso di questo tipo l’abbiamo avuto al cinema nella visione tragicomica dell’apocalisse messa in atto dal “Siccità” di Paolo Virzì.

Con una proposta che solo in apparenza sembra emularne le caratteristiche, “Te l’avevo detto” di Ginevra Elkann si ritaglia il proprio punto di vista muovendosi su un terreno di natura più esistenziale, in cui la calamità appare lo specchio riflettente del proprio stato interiore.

Nella Roma di un futuro prossimo, le feste natalizie si trascorrono afflitti da temperature altissime che han ridotto al limite la disponibilità delle scorte d’acqua. In questo scenario di sfiancante sopportazione, le azioni dei personaggi s’incrociano tra di loro svelando reciprocamente le proprie intime complessità: lo squilibrio mentale di Gianna dovuto alla perdita del marito si riversa nel rapporto con sua figlia, che a sua volta sfoga il proprio malessere nel cibo e si guadagna da vivere assistendo una donna anziana come badante.

Pupa è una porno diva al capolinea della sua carriera, che ostenta le proprie manie da personaggio pubblico tra interventi estetici e contenuti video per i suoi fan. Bill è un prete affetto da dipendenza di droghe che dopo essersi riunito a sua sorella Frances, residente negli Stati Uniti, farà i conti col proprio passato nel dire addio alla madre defunta.

Per problemi di instabilità emotiva e abuso di alcool, la rottura tra Caterina e Riccardo impone un’ordinanza restrittiva che obbliga la giovane madre a tenersi lontana dal figlio; ma l’amore nei suoi confronti tenterà di farsi strada a dispetto della legge.

La struttura corale che mette insieme i soggetti, in modo sottile ma evidente, ricorda prima ancora dell’esempio di Virzì il “Magnolia” di Paul Thomas Anderson. Oltre alla possibile citazione che può cogliersi nel personaggio della signora invalida, l’elemento psicologico appare predominante rispetto alle contromisure che si adoperano per gestire la crisi, e lo stesso sviluppo narrativo prende spazio nell’osservare più da vicino le differenti problematiche personali.

«L’elefante nella stanza» della catastrofe globale si evince perlopiù dai perpetui toni cromatici di giallo e arancione, oltre alle immagini sgranate che danno quasi la sensazione di percepire il calore sullo schermo.

Prediligendo un’analisi della sfera emotiva, non si poteva scender a compromessi sulla selezione degli attori: interpretazioni eccezionali come quelle della star hollywoodiana Danny Huston o delle sempre impeccabili Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino si fregiano di scelte espressive che nutrono i personaggi di una caratterizzazione stratificata, senza cedere mai ad eccessi inopportuni.

Giunta al suo secondo lungometraggio, Ginevra Elkann trionfa nel voler raccontare il comune vivere con uno sguardo accorto e competente verso l’attualità. Come da titolo, il suo ritratto esteriore d’inesorabile deperimento è l’altra faccia del nostro insoluto, e poche altre volte in operazioni simili è stato possibile coglierlo tanto chiaramente.

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