Giorgia Meloni attacca la «sinistra, ai margini per la sua supponenza», e ribadisce che non sarà certo il referendum sulla giustizia a decidere il suo destino, perché arriverà «a fine legislatura» e poi «solo gli italiani possono mandarmi a casa». Matteo Salvini invece batte sul tema della sicurezza, annunciando che sta lavorando a un decreto ad hoc, e rispolvera i toni di un tempo contro i migranti: «Fuori dalle palle chi non rispetta la nostra cultura, i nostri simboli, la nostra religione e costituzione». Mentre Antonio Tajani mette nel mirino l'avversario contro cui il centrodestra si batte in Puglia: «Decaro vuol dire Emiliano. Emiliano vuol dire Decaro. Quindi non cambia nulla, si andrebbe avanti con le cose come stanno oggi, che non funzionano».

Prima dei leader, sul palco del Teatro Team di Bari (duemila posti, tutti esauriti, con due maxischermi per chi è rimasto fuori), sale il front runner della maggioranza di governo, l'imprenditore Luigi Lobuono. A due settimane dal voto del 23 e 24 novembre, si presenta senza nascondere l'emozione, rivendicando di essere «nato il 15 gennaio come Meloni» e rilanciando le sue promesse programmatiche: «200mila posti di lavoro in 24 mesi», risollevare una sanità «smantellata», e insomma «far girare la Puglia come... non posso dire una Ferrari, diciamo come una McLaren».

D'altronde sono tempi duri per le rosse di Maranello. E non parte certo dalla pole position il centrodestra, che vede la sfida complessa ma non scontata. E punta soprattutto a risvegliare chi in genere si astiene (circa il 40% in questa regione), considerato un vero e proprio "terzo polo". Chi vince lo decide «quelli che stanno a casa», ma «chi non vota poi per cinque anni non rompa le palle se le cose non vanno», la sintesi di Salvini, che si è alleato con Udc e Nuovo partito socialista e spera di fare ottenere alla Lega «il miglior risultato della sua storia in Puglia». In cima alle parole d'ordine c'è la sanità, e Meloni (che scatena una ovazione citando Pinuccio Tatarella) annuncia passi avanti sullo smaltimento delle liste d'attesa, «1,3 milioni di prestazioni in più» con la prospettiva su superare «oltre 2 milioni» entro fine anno.

I leader attaccano sulla gestione Emiliano della crisi della xylella, con Tajani che annuncia un «progetto innovativo» e la premier che rivendica i «300 milioni del piano Coltiva Italia». Solo Lobuono fa un accenno alla crisi dell'Ilva, domani al centro del tavolo con i sindacati a Palazzo Chigi.

Ma al di là dei temi locali, i toni si alzano su quelli nazionali. A partire dalla manovra, che «ci vuol coraggio a definirla per ricchi» e sarebbe stata «una manovrona senza i 40 miliardi di crediti per il superbonus», puntualizza la premier. Sullo sfondo restano i distinguo sul contributo delle banche, il pressing di FI su dividendi e affitti brevi, e quello della Lega per aumentare le risorse per le forze dell'ordine e allargare la rottamazione.

Senza dimenticare le polemiche sul Ventennio visto da Roberto Vannacci: per Salvini «il fascismo è stato sconfitto dalla storia», mentre Tajani chiarisce che le opinioni del generale non sono le sue. Maurizio Landini è invece obiettivo di attacchi convergenti, con il leader di FI che punta il dito contro la Cgil che «fa politica per farlo diventare segretario futuro del Pd». La patrimoniale è liquidata con sarcasmo («Legherebbe sempre di più i cittadini sudditi al potere e al politico di turno», dice Maurizio Lupi). E la riforma della giustizia è sbandierata dagli alleati come un atto di «libertà» per le toghe.

«Sono certa che migliaia di magistrati nel segreto dell'urna voteranno a favore. Anche molti esponenti di sinistra», garantisce Meloni, denunciando che quello schieramento è «ai margini della vita politica» per «supponenza». La premier fa un esempio, riferendosi a Umberto Galimberti senza citarlo, «in tv diceva che vinco perché chi si occupa del mio makeup è bravissimo». Letture «superficiali» da «intellettuali da salotto», le liquida, «al netto del fatto che mi trucco da sola e manco così bene».

(Unioneonline)

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