La ferita resta aperta, anche perché c'è una condanna sulle spalle: «Una cosa gigantesca, inutile negarlo. La vicenda va avanti dal 2013 e ci vorrà altro tempo prima del giudizio definitivo». Francesca Barracciu sceglie di rompere un silenzio lungo quattro anni («a parte qualche tweet») alla vigilia della presentazione in Sardegna di Italia Viva, il partito lanciato poche settimane fa da Renzi. Prove di ritorno sulla scena politica: «Ma non sto certo pensando a ruoli personali, credo nel progetto democratico, liberale, garantista e femminista voluto da Renzi».

L'ex sottosegretaria cerca di riannodare i fili dopo il corto circuito legato alla vicenda giudiziaria dell'utilizzo dei fondi ai gruppi in Consiglio regionale: quattro anni per peculato aggravato in primo grado, ridotti a tre anni e tre mesi in appello a maggio di quest'anno, quando è arrivata l'assoluzione dall'accusa di aver fatto pagare una fattura a un'azienda riconducibile al compagno.

Cinquantatré anni, due lauree, un'idoneità da insegnante, l'impegno nel campo della formazione e dell'orientamento al lavoro: «In questi anni mi sono buttata anima e corpo nella mia professione».

La storia politica personale è di primissimo livello: sindaca (di Sorgono), consigliera regionale, segretaria del Pd, eurodeputata, la poltrona al ministero dei Beni culturali nel governo Renzi. Soprattutto, presidente della Regione mancata. «Ma quella è solo un'ipotesi».

Eppure nel 2013 aveva vinto nettamente le primarie del centrosinistra per le Regionali.

«Mi è arrivato allora l'avviso di garanzia».

Ha dovuto rinunciare alla corsa per Villa Devoto, alle elezioni poi vinte da Pigliaru.

«Quello è stato un momento durissimo, con un giustizialismo feroce ad personam nel partito. Solo per me, con la partecipazione straordinaria di pezzi di Sel, pezzi di Cgil, pezzi di Acli, pezzi di Rossomori, del Partito dei sardi. Un'azione politica guidata però da una parte del Pd».

Poi è arrivata la nomina a sottosegretaria, ma col rinvio a giudizio ha dovuto lasciare.

«In questo caso tengo a chiarire che è stata una scelta mia e solamente mia. Nessuno mi ha chiesto di mettermi da parte. Volevo dedicarmi al processo senza creare imbarazzo alle istituzioni e al partito».

E i rapporti col partito come sono andati avanti?

«Il Partito democratico mi ha lasciata sola, come se fossi l'unica ad aver vissuto questa cosa. Certo, ci sono stati anche molti politici che non hanno rinunciato a darmi la loro solidarietà e la loro stima, comprendendo bene come era nata la vicenda».

Come era nata?

«Io ho agito da consigliera regionale, con una procedura illustrata da chi conosceva le regole e diceva: si fa così , perché la norma regionale diceva questo. E tutti, nel mio gruppo, facevano così. Seguivano le disposizioni interne del Consiglio regionale».

Una posizione un po' debole per spiegare quelle spese non giustificate.

«Col senno del poi forse avrei dovuto conservare copia dei rimborsi e delle attività svolte per il Consiglio e portarle al vaglio del tesoriere: ma a me, come agli altri, sono stati chiesti chiarimenti dopo cinque, sei, sette anni. Era passato troppo tempo».

Le indagini hanno portato al processo.

«Non ho niente da dire sull'indagine. È stata pienamente legittima, la magistratura ha fatto il suo lavoro. Ci sono tre gradi di giudizio e vediamo come si concluderà tutta la vicenda».

Una storia che le ha spezzato la carriera politica.

«Una cosa enorme come una casa, inutile girarci attorno. Un passaggio della mia vita che mi sono sentita nella carne viva. Non potevo certo fare come se niente fosse».

Nell'era social gli attacchi personali sono arrivati a ruota.

«Ho affrontato una gogna mediatica gigantesca, anche sui social i giudizi pesanti si sono sprecati. È stata durissima ma io ho una storia morale diversa, che va in un'altra direzione».

Quale direzione?

«Nella mia vita da sindaca di Sorgono ho rinunciato a tutte le indennità, a tutti i rimborsi per la mia attività, senza che nessuno lo sapesse. Un totale di oltre 80mila euro, più di quelli che avrei portato via dal Consiglio regionale. Senza contare che quei soldi sono stati inseriti in un capitolo di bilancio per attività socioculturali dei bambini del mio paese. E anche da europarlamentare non ho utilizzato un euro delle ingenti risorse a disposizione dei gruppi».

La sua vita personale come è andata avanti?

«In questi anni ho fatto un lungo percorso di elaborazione per fare i conti con quello che mi è successo. Nei primi tempi la rabbia era infinita, come il dolore. Un miscuglio di sentimenti difficile da descrivere».

Questo percorso si è concluso?

«No, non si è ancora concluso. È ovvio che sia così, visto che non è ancora finito il processo. I tempi per arrivare al terzo grado sono lunghissimi. Ma per fortuna ho una splendida famiglia, una rete di amici attorno, anche del mondo politico. In tanti mi hanno dato la forza di andare avanti e ripartire. Tra questi c'è anche il mio avvocato, Franco Luigi Satta: ormai lo considero come il mio secondo padre».

Ripartire anche con la politica?

«Sì, credo nella strada tracciata da Renzi, che ha deciso di cercare un percorso diverso da quello del Pd, un partito ormai privo della forza propulsiva originaria: troppa confusione, poca chiarezza, lo sguardo sempre rivolto all'indietro e uno spostamento a sinistra ormai fuori dal tempo».

Anche perché il suo rapporto col partito si era ormai deteriorato.

«Questo non c'entra, come non c'entra la mia storia personale. Io ho lasciato il Pd solo per una scelta strettamente politica, altrimenti me ne sarei andata molto prima. Io ho amato moltissimo il mio partito e ho continuato ad amarlo anche quando sono stata personalmente maltrattata».

Perché crede in Italia Viva?

«Perché è l'evoluzione naturale di un percorso democratico e progressista che fa chiarezza e guarda al futuro. Mi sarebbe piaciuto che tutto questo avvenisse nel Pd. Ma non è successo, si è preferito restare indietro e guardare solo gli specchietti retrovisori».

Tra quanto arriverà il giudizio della Cassazione?

«Non ne ho idea, non sono ancora neanche stati depositati gli atti. L'attesa e l'incertezza davanti a una vicenda giudiziaria che va avanti da così tanto tempo sono forse più pesanti della stessa condanna».

Giulio Zasso

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