«Questa vicenda vuole stravolgere, attraverso un procedimento amministrativo, l’essenza stessa del governo regionale, modificando il risultato elettorale, e quindi il voto espresso dai cittadini sardi, dopo meno di un anno dall’insediamento della giunta della nostra maggioranza».

Così Alessandra Todde, riferendo alla seduta statutaria sul caso decadenza, dopo aver depositato il ricorso contro l’ordinanza ingiunzione del Collegio di garanzia elettorale presso la Corte d’Appello di Cagliari.

«Un provvedimento che non riguarda me sola ma l’intera forma di governo della Regione Sardegna: gli Assessori, i Consiglieri di maggioranza e di minoranza e, fatto ancora più grave, riguarda tutti i cittadini sardi, sul loro inviolabile diritto, in quanto cittadini, di votare e di affidare al Governo regionale che hanno democraticamente e liberamente eletto, la guida della Sardegna sino al 2029».

La presidente della Regione ha ripercorso le tappe del caso decadenza, a partire dalle richieste di chiarimenti inoltrate dal collegio alla sua pec e che risalgono al 19, fino al ricorso depositato dagli avvocati Stefano e Benedetto Ballero, Giuseppe Macciotta e Priamo Siotto il 27 gennaio scorso.

Video di Stefano Fioretti 

In generale, Todde ha ricordato che, come chiarito dal Collegio stesso, non sussistono le due cause previste dalla legge per la decadenza. Quindi, «in buona sostanza, un organo amministrativo, ha emanato un provvedimento dove in assenza di alcuna motivazione giuridica, senza che si siano verificate le condizioni di legge, ha richiesto a questo Consiglio l’avvio di una procedura di decadenza della Presidente della Regione».

Tuttavia, aggiunge, «questo provvedimento però un effetto lo ha avuto: un attacco senza precedenti alla mia persona e al mio ruolo istituzionale. Articoli di stampa locale e nazionale che mi dichiaravano decaduta mettendo in discussione atti della mia Giunta e le attività del consiglio regionale senza minimamente sottolineare che il provvedimento è definitivo a seguito di un pronunciamento di questo Consiglio, che non è un “passacarte” di un organo statale».

Ancora: «In queste settimane, abbiamo assistito poi alla sfilata di chi, per becero interesse politico, ha voluto iniziare la campagna elettorale, spacciando per atto definitivo un atto che definitivo non è, tanto che sia i giudici che il Consiglio si devono ancora pronunciare. Incuranti dell’effetto sui cittadini sardi al cui destino si dicono interessati, le cui priorità si sono dimenticati nei cinque anni che ci hanno preceduto». Piuttosto, sostiene Todde, «dobbiamo dire invece ai cittadini sardi che qui in gioco c’è la stabilità delle nostre istituzioni. Qui c’è in gioco la nostra autonomia. Qui in gioco c’è la Sardegna».

Nel suo intervento, la governatrice spiega le sue ragioni come sono elencate nel ricorso di oltre trenta pagine depositato nei giorni scorsi. Non fa cenno, tuttavia, del presunto conflitto di interessi di due membri del collegio a cui fa riferimento l’atto firmato dai quattro avvocati.

In compenso introduce qualche elemento di novità. Per quanto riguarda le spese rendicontabili, Todde sottolinea che «tutta la documentazione delle spese effettuate e dei fondi ricevuti dal comitato elettorale, incluso l’estratto conto del conto dedicato dal comitato in Banca Intesa e l’elenco dei beneficiari Paypal, è stata allegata alla rendicontazione inviata dal Comitato alla Corte dei Conti». Tale documentazione «non è dovuta e tuttavia è stata allegata, per trasparenza, alla mia dichiarazione inviata alla commissione elettorale ed il rendiconto delle spese è stato da subito disponibile nel sito del Movimento 5 Stelle alla sezione trasparenza».

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La presidente insiste sul fatto che nel suo caso non c’è alcuna «spesa rendicontabile direttamente sostenuta, come peraltro avvenuto per decine di consiglieri, eletti e non eletti, i quali non hanno nominato un mandatario e non hanno avuto un conto corrente dedicato, hanno rendicontato con una dichiarazione analoga, i cui fascicoli sono stati regolarmente archiviati». E, «nessuna spesa direttamente sostenuta come già avvenuto in altre regioni, per Presidenti di regione di altre appartenenze politiche, come Luca Zaia che per la campagna elettorale del 2015 in Veneto ha dichiarato di non aver sostenuto spese né ricevuto alcun contributo poiché le spese sono state sostenute direttamente dal suo partito ed il suo fascicolo è stato regolarmente archiviato e nessuna richiesta di decadenza è stata predisposta».

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Dopo la presidente, sono intervenuti i capigruppo di tutte le forze politiche. «Facciamo questa riunione perché siamo un parlamento, e ci dobbiamo porre temi di profondità tipici di un’assemblea che fa leggi», ha esordito il presidente del gruppo Dem Roberto Deriu. In generale, ha sostenuto, «la Corte Costituzionale dice che i collegi di garanzia (come quello che ha emanato l’ordinanza ingiunzione) non sono giudici, e le loro decisioni non sono giudizi ma atti di amministrazione efficaci per sanzioni amministrative». In sostanza, «un organo amministrativo non adeguato a statuire verità. Questa la stabiliscono altri organi. Compete agli organi giurisdizionali. I giudici son giudici e i collegi di garanzia sono organi amministrativi». Per questo, «la nostra giunta delle elezioni non si può esprimere su una decadenza fino a quando non sia accertata da un giudice». Deriu ha anche sottolineato che la presidente non è stata eletta consigliera regionale ma direttamente presidente della Regione.
Molto duro l’intervento del capogruppo di FdI Paolo Truzzu: «Nessuno vuole stravolgere il risultato elettorale, noi sosteniamo il primato della politica, ma io oggi qui ho sentito poca politica, e dalla presidente abbiamo avuto un’arringa, dichiarazioni che sono la negazione della politica». In ogni caso, ha ribadito, «la trasparenza delle elezioni è uno dei principi cardine del nostro sistema democratico», inoltre, «il danno d’immagine è conseguenza delle sue azioni. Ora la legislatura è già finita politicamente. Magari la giustizia salverà la presidente, ma ormai la coalizione sarà guidata dalle segreterie dei partiti».In fase di replica, la presidente della Regione ha elencato tutte le cose fatte dalla Giunta dall’inizio della legislatura. Perché, ha detto, «questo significa parlare di politica».

Todde ha voluto anche replicare a chi preme per la decadenza fuori dall’Assemblea sarda. «Sono gli stessi che, in giunta per le elezioni alla Camera dei Deputati alterano retroattivamente i meccanismi di validazione delle schede elettorali, con emendamenti a loro firma, facendo cadere un parlamentare legittimamente eletto in favore di un candidato della loro stessa appartenenza politica». Un passaggio anche sulla polemica intorno ai suoi titoli di studio, compreso quello da ingegnere: «Io non ho niente da nascondere. Di altri non saprei dire lo stesso. Anzi ne vado orgogliosa. È una promessa fatta a mio padre condannato da un male incurabile e mantenuta pochi mesi prima della sua morte. Non permetto a nessuno di spargere fango su queste cose».
Ancora: «Quelli che in quest’Aula e fuori da quest’Aula tifano per un provvedimento palesemente privo di fondamenti, non capiscono che il danno non lo fanno ad Alessandra Todde. Se questa fosse solo una vicenda personale, mi limiterei a difendermi nei contesti opportuni e a portare lì le mie ragioni». Infine, un riferimento al possibile conflitto di attribuzioni: «Un provvedimento di un’amministrazione statale, che con un’ingerenza nella sfera delle attribuzioni della nostra Regione, chiede la decadenza del presidente della Regione, e con essa, la decadenza di un Consiglio intero, decretando dunque la fine di una legislatura e mandando in fumo le preferenze dei cittadini sardi, non è una questione personale. Non è neanche una questione politica, di questa o di quello schieramento politico. Farei la stessa battaglia e lo stesso intervento se fossi seduta nei banchi dell’opposizione».

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