Il Senatore Alberto Bagnai, economista tra i più apprezzati in campo nazionale e fino a luglio scorso presidente della Commissione Bilancio di Palazzo Madama, recentemente in Sardegna per la campagna elettorale delle prossime amministrative da Quartu a Porto Torres, passando per Sestu e Nuoro, analizza la situazione economica nazionale e propone ricette su sviluppo e lavoro anche a livello comunale.

La sua doppia veste, oltre ad una formazione in materie economiche vanta un cursus onorum come clavicembalista e flautista barocco, fa trasparire la sua familiarità con la matematica che, del resto, per uno dei più importanti compositori della storia della musica, Johann Sebastan Bach, era elemento imprescindibile per la sua genialità creativa, ed è tra gli autori preferiti del senatore musicista.

Abbiamo incontrato Bagnai dopo l’evento di presentazione del candidato sindaco di Quartu, Cristian Stevelli, dove è intervenuto assieme al deputato Eugenio Zoffili, presidente della bicamerale per l’immigrazione e commissario regionale della Lega, ed al neo senatore del collegio di Sassari Carlo Doria.

L’Europa ha stanziato per l’Italia 209 miliardi di euro. Quando arriveranno? E di questi quanti sono a fondo perduto?

“Temo che la domanda sia mal posta. Vorrei chiarirlo per evitare le strumentalizzazioni di chi dipinge la posizione prudente della Lega come follia ideologica che porta a rifiutare una generosa offerta”.

Cioè?

“Le somme di cui i grandi media parlano con tanta orgogliosa sicurezza in realtà ancora non esistono. La cosiddetta ‘Europa’, cioè l’Unione Europea, in questo momento non ha in tasca nulla. Prima di distribuire questi miliardi la Commissione Europea deve raccoglierli, e prima di raccoglierli i Paesi membri devono mettersi d’accordo su come distribuirli”.

E questo cosa significa?

“Che il negoziato è ancora in corso ma ad oggi abbiamo già due certezze. Primo: la quantità di fondi che toccherà al nostro Paese dipende da eventi futuri incerti, in particolare dalla perdita complessiva di Pil nel biennio 2020-2021. Chi ripete il numero magico di 209 miliardi parla come un imbonitore da fiera paesana, il che suscita un certo sospetto. Secondo: l’espressione 'a fondo perduto' è imprecisa, dal momento che ogni singolo euro preso in prestito dai mercati andrà restituito ai mercati".

Quali sono le conseguenze?

"Anche le cosiddette sovvenzioni 'a fondo perduto' andranno restituite non dai beneficiari diretti ma dalla collettività attraverso l’imposizione di nuove tasse europee (definite “risorse proprie” nella neolingua europea) e attraverso il contributo dell’Italia al bilancio comunitario”.

Quindi la Lega è contraria alla pioggia di miliardi? Quindi la Lega rifiuta il sostegno che l’Europa fornisce alle imprese e al nostro sistema sanitario?

“No, guardi, la cosa va posta in altri termini. Noi non rifiuteremmo nessun aiuto al Paese se questo venisse effettivamente offerto. Stiamo parlando di prestiti e ci preoccupano le nuove tasse e i nuovi tagli alla spesa che si renderanno necessari per restituirli. Di questo nessuno parla".

Ma allora perché le associazioni di categoria vedono tutte con occhio positivo questi nuovi debiti?

“Forse qualcuno, ai piani alti di qualche associazione di categoria, vede nel fatto che il Paese si indebiti con la Commissione Europea un’occasione per il suo business, magari sperando che a restituire questi debiti siano altri. Se lavori nel settore medico e ti raccontano che arriveranno 36 miliardi per la sanità accoglierai con favore questa notizia, pensando che la tua azienda possa beneficiarne".

E chi non lavora nel settore sanitario?

"Se invece sei un pensionato, o un piccolo proprietario immobiliare, o un imprenditore che lavora in un altro settore, devi sapere che a restituire questi soldi sarai tu, attraverso quello che le carte chiaramente indicano: ulteriore riforma delle pensioni, aumento dell’IMU, plastic tax, ecc”.

E chi può dirlo però?

“E’ tutto scritto nelle Raccomandazioni specifiche per Paese e nelle bozze di regolamento sul recovery fund. Può anche darsi che i rappresentanti di categoria siano favorevoli a indebitarsi con l’Unione Europea. Per esperienza diretta posso dirle che proprio per questo motivo molti imprenditori, preoccupati per le nuove tasse in arrivo, non si sentono più rappresentati”.

Quali sono le priorità da affrontare con queste risorse secondo la Lega?

“Porrei il tema in modo diverso: esiste un concreto pericolo che siano proprio le eventuali risorse europee (che ancora non ci sono) a distoglierci dalle nostre priorità. Le priorità del Paese sono evidenti a tutti: anni di tagli degli investimenti pubblici rendono indispensabile innanzitutto un intervento massiccio di riqualificazione della rete stradale, ferroviaria, portuale e aeroportuale esistente, dell’edilizia pubblica (scuole, tribunali), e delle reti di comunicazione”.

E quindi?

“Per darci a prestito i soldi del ‘recovery fund’ l’Unione Europea ci chiede di essere ‘green’. Non abbiamo nulla contro la tutela dell’ambiente, che in Italia è particolarmente fragile e necessita particolare attenzione. Solo che a noi servono ponti che non crollino, treni che non deraglino, aeroporti che funzionino”.

E cosa ne pensa l’Europa di queste priorità? Sono considerate spese ammissibili?

“Non sappiamo se l’Unione le considererà ‘green’. L’enfasi ‘europea’ sulla rivoluzione verde è strettamente connessa alle priorità tedesche e francesi: rispettivamente, convertire l’industria automobilistica all’elettrico e smantellare le centrali nucleari. Un problema loro che vogliono risolvere anche coi soldi nostri, perché, anche questo va ripetuto: non è vero che da questo negoziato l’Italia uscirà come beneficiario netto degli aiuti europei. Resteremo contribuenti netti”.

Mes sì, Mes no. Riusciamo a spiegare ai lettori, in modo semplice, le ragioni del sì e le ragioni del no?

“Questo dibattito esiste solo in Italia ed è totalmente surreale. Con lo spread in calo a 122 punti e il tasso sui BTP al minimo storico dello 0,672%, con il grande appetito che il mercato ha per i titoli italiani, non esiste alcuna necessità di finanziarsi ricorrendo ai prestiti di un fondo creato per soccorrere Paesi in grave crisi finanziaria. Anche le cifre non tornano. Ci viene detto: perché non approfittare di 36 miliardi gratis? Intanto, perché anche i BTP lo sono, dal momento che la maggior parte di essi sta finendo in pancia alla BCE, che restituisce agli Stati membri gli interessi percepiti. Poi, perché 36 miliardi sono una cifra spropositata: oltre il 30% della spesa pubblica in sanità".

Dov’è l’inghippo?

“Il problema è che i soldi del MES sono 'gratis' solo se vengono utilizzati per spese direttamente o indirettamente connesse all’emergenza Covid19. Difficile pensare che si possa giustificare un aumento del 30% della spesa sanitaria per ovviare alle conseguenze di una malattia che ha fatto circa 36.000 vittime, pari a circa il 5% dei morti che si registrano ogni anno del nostro Paese. Intendiamoci: ognuno di questi morti rappresenta per i suoi cari e per la comunità nazionale una tragedia immensa, ma ai controllori del MES di questo non importerà molto. Se scoprissero che i soldi sono stati spesi per interventi “non-COVID”, scatterebbe la tagliola prevista dai trattati per chi viola le condizioni del MES".

Perché correre questo inutile rischio quando i mercati sono così liquidi?

"E infatti di ricorrere al MES si parla solo in Italia, e solo perché il PD desidera che il Paese possa essere commissariato da Bruxelles quando gli elettori avranno mandato questo Governo a casa”.

Si parla di un balzo in positivo del PIL nel 2021, però oggi molti settori sono in uno stato di profonda crisi. Con un sistema economico a singhiozzo così condizionato dal virus quando ci sarà una vera ripresa?

“Il nostro sistema economico già soffriva di un deperimento lento e inesorabile causato da regole irrazionali. Nessuno si pone due domande fondamentali: se è vero che l’austerità è stata un errore, perché ci ha danneggiato costringendoci a tagliare gli investimenti pubblici, compromettendo la nostra crescita e la nostra sicurezza, chi ci pagherà questi danni? E se è vero che le regole precedenti erano sbagliate, come noi dicevamo da sempre, tant’è che appena è arrivata una crisi è stato necessario sospenderle, quando passerà la crisi ricominceremo a farci del male come prima?”

Chi deve rispondere a queste domande?

“Il vero negoziato, quello decisivo e significativo, non dovrebbe essere su come indebitarci con l’Unione Europea, ma su come cambiare regole che a chiacchiere tutti criticano, ma che sono ancora applicate nei meccanismi dello stesso recovery fund. Lei lo sa, ad esempio, che nei documenti della Commissione è scritto che il recovery ci finanzierà solo se taglieremo le pensioni e aumenteremo l’IMU?”

Però delle regole occorrono: per quanto sia spiacevole obbedire, contribuiscono a dare stabilità. Non trova che sia utile?

“No, per due motivi. Primo, perché l’“Europa delle regole” semplicemente non esiste! Parliamo della regola più nota, quella del limite del 3% al rapporto deficit/Pil. Fortemente voluta dalla Germania prima nel 1992 e poi nel 1997 col Patto di stabilità e crescita, è stata violata dalla Germania nel 2003 per finanziare in deficit un abbattimento del suo cuneo fiscale. Per tutta risposta, la Germania ha cambiato la regola nel 2004, salvo reintrodurla potenziata nel 2011 quando in crisi era la Grecia, e ritoglierla nel 2020 quando ha visto che la gente non moriva solo in Italia”.

Quindi negli ultimi vent’anni la regola è cambiata tre volte.

“Esatto e questa me la chiama stabilità? E poi, c’è un altro problema, di ordine concettuale. Il mondo della globalizzazione è un mondo veloce e imprevedibile. Regole rigide sono controproducenti, soprattutto se pensate per un mondo che non esiste più, quello degli anni ’80, in cui il nemico era l’inflazione”.

Che fine ha fatto l’inflazione?

“Continuiamo a combatterla in un mondo che è in piena deflazione. Cosa può andar storto? Quasi tutto, e infatti purtroppo lo sta facendo”.

Pochi lo sanno ma lei, oltre senatore e economista, è un concertista ed interprete del repertorio barocco. Come nasce la sua passione per la musica?

“Nasce in famiglia, e nasce dal mio essere europeo, non europeista. L’Europa per me è Bach e Monteverdi, è Tolstoj e Goethe, è Grieg e Honegger. Per gli europeisti, metà degli artisti che ho citato non sono europei: nell’ordine, Tolstoj (russo), Grieg (norvegese), Honegger (svizzero). Vede perché faccio molta attenzione a distinguere l’Europa, cioè le nostre radici culturali, dall’Unione Europea, cioè da un progetto politico particolarmente irrazionale e fallimentare, frutto delle solite, irrisolte tensioni imperialistiche della Germania, tanto accuratamente illustrate da Lenin quando nel 1915 descriveva sulle pagine del Sotsial-Demokrat la “parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa”. Un testo su cui gli eredi di quella tradizione dovrebbero riflettere, se lo conoscessero, ovviamente. L’europeismo, ahimè, mi appare sempre di più il figlio deforme di una certa ignoranza che si ammanta invano di pretese intellettuali”.

Tra vent’anni si vede più impegnato nella finanza o tra gli spartiti di Bach e Vivaldi?

“Tra vent’anni avrò 78 anni e spero di vivere in un Paese libero. Se sarà così, mi regolerò di conseguenza, scegliendo liberamente in cosa impegnarmi. Ma intanto a 78 anni bisogna arrivarci, un giorno alla volta”.

Leibniz diceva “La musica è il piacere che la mente umana prova quando conta senza essere conscia di contare”. Se suona pensando alle prossime elezioni politiche l’interpretazione sarà migliore?

“L’attività politica assorbe molte energie spirituali: la necessità di prestare ascolto a tutti gli interlocutori, di aiutarli a parlare fra loro, di memorizzare fatti e circostanze, di leggere con assoluta concentrazione testi spesso impervi, tutto questo mi fa arrivare a casa completamente svuotato. Ho inciso il mio penultimo disco il giorno dopo aver saputo da Matteo Salvini che mi avrebbe candidato, e l’ultimo, con grande difficoltà, nell’estate del 2018, solo per tener fede a un impegno preso".

Tornando al 2023 o quando deciderà il Presidente Mattarella?

"Se penso alle prossime elezioni politiche penso che gli italiani le suoneranno a questo Governo. Noi dobbiamo prepararci a raccogliere con intelligenza strategica e con umiltà questo loro desiderio di cambiamento”.

L.P.
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