Protocollo Italia-Albania e primato del diritto Ue: tra voto popolare e conformità al dettato normativo
Molte le questioni che si pongono in tema di coordinamento tra disciplina sovranazionale e nazionalePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
«Mai parlato di complotti, ma c’è menefreghismo del voto popolare. Avanti sull’Albania». Così si è espressa Giorgia Meloni, in occasione di una lunga intervista alla festa de “Il Tempo”, ed in conseguenza dell’acceso dibattito sulla questione Albania e sulle politiche migratorie intraprese dal proprio governo. Ebbene. Checché se ne voglia dire, il dibattito sulla rinnovata, se così la volessimo definire, politica migratoria e, in particolar modo, sulla gestione dei cosiddetti rimpatri, continua a tenere banco sul piano delle potenziali ed accennate soluzioni innovative per contenere l’immigrazione irregolare. E se, per un verso, i gruppi progressisti dell’emiciclo di Strasburgo hanno contestato l’accordo tra Italia e Albania sostenuto dal Presidente del Consiglio dei Ministri Italiano Giorgia Meloni finalizzato alla cosiddetta esternalizzazione delle procedure d’asilo siccome passibile, sembrerebbe, di incorrere in una violazione del diritto comunitario e internazionale secondo i socialisti, per l’altro verso, si tratterebbe di un modello costoso e inefficace per i liberali. Ma, in che senso vi sarebbe “menefreghismo” rispetto al voto popolare? “Menefreghismo” del voto popolare rispetto alla linea politica intrapresa in argomento? Da parte di chi se è vero, come parrebbe essere vero, che l’Ordinamento Italiano da tempo ha recepito importanti direttive in materia di asilo? In che modo, siffatto Protocollo, che appare gradito anche ad Ursula Von der Leyen, si armonizza con le richiamate direttive in materia di asilo?
Gli interrogativi che si impongono alla attenzione generale, senza alcuna pretesa di soluzione immediata, certamente sembrerebbero imporre importanti riflessioni dal momento che, anche a prescindere dal pensiero politico dei singoli, la questione inerente la gestione delle politiche migratorie dovrebbe rinvenire soluzioni condivise ed in quanto tali prontamente praticabili nel rispetto della articolata normativa di riferimento. Soprattutto ove si voglia considerare che le perplessità e i contrasti emerse/i negli ultimi tempi, siano apparse/i concernere non tanto l’esigenza in se e per se considerata di offrire una risposta alla problematica della gestione dei flussi migratori e soprattutto della immigrazione irregolare, quanto piuttosto sulle modalità di intervento (i contenuti del Protocollo Italia-Albania) per offrire risposta al problema. Intanto, sembrerebbe appena il caso di precisare che il discusso Protocollo Italia-Albania, ratificato con la legge numero 14 del corrente anno 2024, risulterebbe diretto, come nei fatti sembrerebbe risultare, a permettere all’Italia di valutare le diverse domande di protezione internazionale su territorio altro rispetto a quello nazionale, ossia su territorio albanese, ma sotto l’egida della giurisdizione italiana.
La circostanza sembrerebbe apparire quanto meno singolare nella sua consistenza significante, siccome tanto l’esercizio stesso della giurisdizione quanto, financo, l’applicabilità del diritto italiano alle procedure di cui al Protocollo, proprio perché geneticamente extraterritoriali per essere localizzate in Albania, non manca, ad oggi, di offrire alla attenzione generale, e soprattutto a quella degli operatori del diritto, talune questioni che se non proprio irrisolte, appaiono comunque idonee a dare esito a differenti interpretazioni anche con specifico riferimento a quelli che fino ad oggi sono state le relazioni gerarchiche, quanto alla prevalenza delle fonti del diritto, tra l’ordinamento interno e il diritto dell’Unione Europea.
Il complesso articolato normativo che sta a fondamento del Protocollo Italia-Albania in che misura si armonizza con il diritto italiano ed europeo vigente? Appare compatibile? Appare anche solo astrattamente concepibile ed economicamente sostenibile un sistema comune di asilo fondato sul cosiddetto modello Albania ove realisticamente applicato dalla totalità dei ventisette Paesi Membri dell’Unione? Le perplessità ed i dubbi di varia consistenza appaiono in tutta la loro verosimiglianza, anche al di là del colore politico degli interpreti che di volta in volta si trovino a doversi esprimere sul punto. Perché, se idealmente, sul piano politico, il richiamato Protocollo sembrerebbe inserirsi all’interno di un filo conduttore programmatico diretto a dare esito, in qualche modo, ad una promessa elettorale, sul piano giuridico ordinamentale appare introdurre molteplici questioni di coordinamento tra disciplina sovranazionale di rango superiore e disciplina nazionale. Tanto più allorquando, con una nota Sentenza resa nell’anno 1984, la nostra Corte Costituzionale abbia stabilito che le norme di origine comunitaria devono trovare applicazione a prescindere dall’eventuale esistenza di norme nazionali contrastanti con quelle europee, e quindi abbia chiaramente affermato il primato del diritto dell’Unione Europea su quello italiano. Ed inoltre, in base all’articolo 101, secondo comma, della Costituzione, infatti, i Giudici sono soggetti soltanto alla Legge.
Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro